Storie della Vergine (1467-1469)
Filippo Lippi - S. Maria Assunta Spoleto (Duomo)
C’è una evidente sproporzione tra la grande figura di Maria inginocchiata in adorazione del Bambino, sdraiato sul cretto e le crepe argillose della creta spoletina, irta di sassi e l’immagine di Giuseppe appoggiato al suo bastone, mentre contempla pensieroso il Bambino di cui è padre putativo. È il più vicino e lo protegge dalla parte del capo. La sproporzione della figura di Maria rispetto a quella dello sposo è accentuata dal manto della Vergine che risulta bianco ma che in realtà doveva essere blu notte come si nota da alcuni resti di pennellate. Dal manto esce una veste rossa. Il bianco della sua purezza verginale si è macchiato dal sangue del parto verginale. Al contrario Giuseppe ha una veste blu e un mantello rosso acceso tendente all’arancione che lo cinge dalla vita in giù, come di chi è pronto a servire.
In Giuseppe è rappresentata tutta l’umanità incredula e pensierosa alla cui fede non basta vedere Gesù disteso ai suoi piedi.
Una mangiatoia di giunchi intrecciati separa la sacra famiglia dall’asino e dal bue che rappresentano rispettivamente il popolo d’Israele e i Gentili, i due popoli usciti dal buio del passato (la grotta nera tra le mura decadenti) che si sporgono e vengono alla luce della conoscenza e alla certezza della venuta storica del Messia.
Il grande edificio a esedra disposto su più piani con finestre, terrazzi e modanature è in parte crollato. Nelle mura si vedono le fessure ad incastro dei travi di legno che sostenevano un tempo mensole interne e pavimenti. Lo spaccato delle mura consente di contare pietra su pietra. Le tre finestre trasparenti come tre occhi aperti ci mostrano paesaggi montani con edifici mentre a sinistra e a destra della quinta architettonica del castello entrano immagini di paesaggio umano con due personaggi riccamente vestiti da un lato (evidentemente contemporanei del pittore Lippi) e dal’altro un angelo che dall’alto conduce un pastore e il suo gregge verso il luogo della natività.
La capanna si incastona nelle antiche mura cadenti come un seme nuovo in un antico terreno dissodato dall’aratro del tempo. Gesù, come nella tradizione nordica delle natività fiamminghe, giace per terra come un seme, non è avvolto in fasce, non è protetto da una culla, è nuda pietra angolare dell’edificio antico, la prima pietra di una nuova costruzione. Arriva un pastore con il suo gregge, arrivano angeli dal cielo, arrivano gli animali della Creazione. Una nuova Arca, una luce nuova conforta i vecchi ruderi del mondo pagano. La fede è questa luce, questa presenza, questo Bambino. Nessuno intorno si affanna. Non sembrerebbe necessario fare altro che contemplare il Bambino. Nulla è necessario tranne quel Bambino.
Sulla sinistra in alto una balconata di nuvole formate di bianchi cirri rappresenta come una virtuale tettoia su cui appaiono inginocchiati e si affacciano dall’alto in preghiera tre angeli. Il numero tre richiama i tre angeli della Trinità e anche i tre angeli che saranno presenti in adorazione sulle sponde del Giordano durante il battesimo di Gesù.