10 marzo 2025

La perfetta letizia di un canto a due voci

Manuel Stefani: Della Vita e Della Morte. Poesie e Racconti - Amazon

Una vena sorgiva zampilla da questa raccolta di 77 poesie e 10 racconti con una sorprendente continuità. Questa vena percorre avvenimenti della vita dell’autore trasformandoli in una cronaca poetica efficace. Manuel Stefani dimostra di trovarsi a suo agio sia nel ritmo della poesia che in quello della prosa, sapendo tenere ben distinti i due generi. E se il tessuto poetico di queste composizioni è maturato nel tempo lungo di oltre 40 anni, quella vena sorgiva ha conservato fino ad oggi una sorprendente freschezza. Dimostrando come la vera poesia non sia legata all’età fisica e che tutte le età possono dare il meglio di sé, la giovinezza come l’età matura.

Sono molti gli strati di lettura che il titolo abbraccia. DELLA VITA E DELLA MORTE rivela subito due binari fondamentali su cui corre ogni testo: la morte e la vita. L’autore non li intreccia ma li tiene ben separati. La morte è la morte, la vita è la vita, ambedue nella loro drammaticità. “La muerte y la “vida” i due forti colori che il grande poeta spagnolo Garcia Lorca ha versato nel suo “Lamento per la morte di Ignazio”. Manuel Stefani non nasconde la presenza della “grande ombra”, ma fa della morte occasione di ispirazione. Anzi, lo sguardo positivo del poeta sa sciogliere e cancellare l’ombra della morte con la luce abbagliante di un Sole, quello della vita e della fede, dono quest’ultimo da offrire anziché da rivendicare come proprio possesso.

Diario, confessione? Di certo Manuel Stefani non indulge in nessuna introspezione autocompiaciuta di sé ma costruisce un dialogo schietto del suo “io poetante” con quel “Tu” in una forma che ricorda i salmi biblici. Così, infatti il profeta Davide si rivolgeva a Dio, lo interrogava, discuteva con Lui da pari a pari. Confessione sì, dei propri stati d’animo a sé stesso e a quel Dio che a volte si nasconde. Infine, attraverso queste poesie, l’autore dialoga con le persone concrete che ha incontrato nel suo cammino. Gli amici, dunque. E forse non c’è molta differenza tra il dialogare con quel “tu” minuscolo o con quel “Tu” maiuscolo perché, come diceva il cantautore Claudio Chieffo, “Dio ha la faccia che tu hai, il volto che tu hai e per me è terribile”. Laicissimo, dunque, l’approccio di Manuel Stefani con la fede. Affronta i temi e i personaggi evangelici con uno stile profondamente umano, per niente fideistico. Nell’introduzione si stupisce addirittura di avere questa fede, e questa è la cosa bella: la fede è un dono, non una conquista, sorge come sorge la luce del sole in un bel mattino. Ha scritto Albert Camus: «Non è attraverso degli scrupoli che l’uomo diventerà grande; la grandezza viene per grazia di Dio, come un bel giorno».

In questa raccolta d’esordio DELLA MORTE E DELLA VITA, il rigore metrico, il numero regolare delle strofe, la lunghezza precisa dei versi, offrono un ritmo di lettura, una musicalità che assomiglia ai battiti ritmici delle onde del mare sulla battigia. E queste onde raggiungono il lettore. Tutto ciò che si legge diventa “Uno” e compone il paesaggio interiore. Le occasioni, i tempi, le persone cambiano e si sovrappongono le loro storie, eppure ciò che ascoltiamo è un solo “cuore scrivente” che dalle cavità della sua “conchiglia interiore” trae testi con cui parlare a sé stesso e al lettore.

Nella piccola pièce teatrale “Nel segno di Caino” che apre la raccolta, il primo omicida della storia umana si presenta alla famiglia di Giuseppe e Anna come un viandante che ha la stoffa di un cercatore di infinito (“potete chiamarmi Mare, Vento, Notte”), un omicida che non ha più un nome e che si nasconde dietro questi elementi della natura dal duplice significato, positivo e distruttivo. All’inizio la figura di Caino può anche affascinare Giuseppe, il marito di Anna. Dopo il peccato originale la realtà è ambigua, il cuore dell’uomo è ambiguo, non c’è sulla terra un uomo che possa essere interamente buono. “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo” grida il Siracide. Che cosa riscatterà Caino? La compagnia, l’amicizia, il vivere insieme, il soggiornare in questa famigliola ospitale che, nonostante abbia i difetti di tutte le famiglie umane, ha nella casa il segno della salvezza: il Crocifisso, Così come un altro oggetto-simbolo. il luccichio dell’anello di Giuseppe, “segno efficace” del sacramento che salva, riscatta il matrimonio. Allo stesso modo nel segno di quel crocifisso la maledizione (maledetto l’uomo che pende del legno) si trasforma in benedizione. Non uccidete Caino! Quel “segno” che Caino porta sulla fronte lo salva. Non un sogno, ma un segno. La vita non è sogno, ma segno che salva.

Così scorrono questi racconti, quello su “La peste” per esempio, dove Manuel Stefani mostra una buona capacità narrativa che inoltre – a sorpresa – anticipa di due anni la venuta del Covid. Sgranando queste poesie tra le dita, le parole diventano “segni” che indicano qualcosa, anzi Qualcuno. Una presenza. Si ritrova in questi testi un poco della sapiente scrittura di Rabindranath Tagore, poeta bengalese, e della sua raccolta Gitangjali (il Giardino), quel suo invocare un “tu” minuscolo e un “Tu” maiuscolo. Quel suono di flauto di canna sembra legare i due poeti.

“Vorrei saper suonare (…) vorrei saper poetare (…) per darti tutta la mia vita”. Il poeta Manuel Stefani si dà in questo “vorrei” ed è questa la nota della perfetta poesia. O meglio della perfetta letizia che si raggiunge ascoltando la voce di quel “Tu” dolce come “il suono del flauto o come l’acqua del ruscello”. (Preghiera n. 2). A chi appartengono le parole che scriviamo? Se ci appartengono sono ben poca cosa, come le foglie sull’acqua o lo strame nei campi. Ma se sono suono di ruscello o di flauto di canna richiamano alla misteriosa origine dei suoni e delle parole. “Se vuoi trovare la sorgente, devi salire lassù, controcorrente” (Karol Woytila, Trittico romano).