Blog - 23 maggio 2021
Franco Battiato
E le lucertole attraversano la strada
“E ti vengo a cercare perché ho bisogno della Tua presenza per capire meglio la mia essenza”. In questo brano che appartiene a una delle sue canzoni più significative, Franco Battiato ha espresso tutto il senso della sua poetica. Il suo “transito terrestre” (così lo chiama più avanti nella stessa canzone) è avvenuto il 18 maggio scorso e fa risuonare ancora la grande domanda: “Che cosa resterà di me del transito terrestre, di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?”. Siamo fatti di impressioni, di sentimenti, di emozioni. Ma che chiedono ragioni, chiedono di farci capire quale sia “la nostra essenza”.
Battiato ha saputo coniugare nella sua arte Occidente e Oriente, ragione e sentimento, accompagnandoci alle soglie del mistero. E lo ha fatto attraverso un vortice di parole e musiche che ci trascinano in una danza, quella mistica dei dervisci e degli sciamani, quella signorile ed elegante dei valzer viennesi, quella popolare delle vecchie osterie, nella bassa padana o nell’Irlanda del nord dove “nelle balere estive, coppie di anziani ballano, al ritmo di sette ottavi”.
Che abbraccio sulla realtà, per un poeta come Battiato che si ferma a descrivere “le lucertole che attraversano la strada” nel breve tragitto da casa sua (Villa Grazia a Milo, sulle pendici dell’Etna), dove bastano “duemila lire di benzina” per scendere tre volte al mese a procurarsi le provviste indispensabili per la sua vita ritirata, quasi monacale. È il suo ideale di vita: “fare come un eremita che rinuncia a sé”.
La geografia di Battiato è una geografia spirituale che ha nella dimensione monastica il suo “centro di gravità permanente”. Una dimensione che spazia dall’Africa dei riti sciamani al silenzio dei monasteri del monte Athos. Ma la sua “rinuncia a sè” rimane filosoficamente “occidentale” proprio per quel suo “voler capire meglio la mia essenza”. Non è un perdersi panteistico, estetizzante, ma un voler conoscersi, trovarsi, ritrovare il proprio sé, il proprio io, superando il cartesiano, limitato “Cogito ergo sum” (penso, quindi sono) a favore di un più illuminato “Cogitor ergo sum”: sono pensato, quindi sono.
E quella “r” in più (cogito-cogitor) ricorda la “r” di quelle lucertole, il fruscio di quei piccoli sauri che attraversano la strada e “vanno veloci ed io più piano ad evitarle”. Piccoli, grandi rettili che vengono da lontano e vanno molto più lontano di quanto possiamo immaginare. Il fruscio delle lucertole segna il tempo e lo lima come il ticchettio di un pendolo. Ed è in questo fuggevole istante di tempo (il “transito terrestre” o il biblico “mille anni sono come un giorno”) che Battiato dichiara senza pudore il suo amore per Dio: “E ti vengo a cercare, anche solo per vederti o parlare”. E questo sentimento, come un innamoramento, fa della vita una dolce prigionia: “Questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine, un rapimento mistico e sensuale m’imprigiona a Te”. Parole straordinarie, affascinanti e che fanno a pugni con il nostro presente, la nostra modernità e post-modernità che ha eliminato dall’orizzonte, quel Qualcuno, quel Qualcosa a cui il popolo, la nostra gente, è ancora istintivamente legata. Un “sentimento popolare”, appunto. Incancellabile.
Nel brano “La cura” Battiato dà voce a Colui che parla all’uomo come a un essere speciale: “E guarirai da tutte le malattie perché sei un essere speciale e io avrò cura di te”. Siamo essere speciali, tanto cari a Dio che ci “restaura” e come opere d’arte ci riporta all’immagine, al volto originale. Controcorrente anche qui, Battiato, in un mondo che nega qualsiasi possibilità di uscire dal freddo determinismo evoluzionista, del “tanto nulla potrà cambiare”, del “tanto vale cogliere l’attimo fuggente”, prendere quello che l’oggi ci offre e che domani sarà per sempre perduto. “Chi vuol esser lieto sia di doman non v’è certezza” (Lorenzo de Medici). Invece, forse, dovremmo stare attenti a non schiacciare le lucertole che passano sulla strada. Domani potrebbero tornare ad essere caimani, alligatori. Potrebbero tornare dino-sauri. Solo il presente esiste, solo l’istante, ma come l’unica possibilità in cui io possa dire: “Ti vengo a cercare”.