Blog - 13 marzo 2022
In tempo di guerra
La dama negata
Ma l’abbiamo guardata bene, questa dama-modella di Tiziano, dagli occhi sensuali e severi insieme, e che ci guardano? Metà con la pelliccia e metà senza, da Venezia all’ Ermitage dove fa molto freddo, ed ora l’intellighenzia russa la richiama indietro dalla mostra di Palazzo Reale a Milano. Lei, con quegli occhi che sembra ci rimproverino, dice pace e dice guerra. Già, basterebbe fermarsi a guardarla e a riflettere. Soprattutto quella piuma che porta, così selvatica e tentatrice, sospesa sul cappello, bianca e aerea come una luce divina. Cosa ci fa Tiziano dalle acque della laguna a quelle del Baltico?
Con che diritto la Russia ci toglie questo eccelso prestito tutto italiano – Tiziano! – e altre opere esposte alle Gallerie d’Italia, a pochi passi dalla Scala dove il sindaco di Milano – per contro – ha allontanato un direttore d’orchestra russo amico di Putin? Si capisce: è guerra anche attraverso l’arte, la cultura, il simbolo. Cioè proprio quelle uniche forze con cui bisognerebbe mantenere il dialogo. Non si perde e non si vince con le armi dell’arte, della musica e della cultura.
Sono falliti in Italia i tentativi di abbattere la statua di Dostoevski e di far saltare le lectio magistralis sul grande romanziere russo, organizzate in occasione dei 200 anni dalla sua nascita. L’arma della cultura è spuntata, disarmante, eppure proprio per questo può disarmare e salvare l’umano. Usare la cultura per fare la guerra (seppure diplomatica) significa sparare a zero nell’anima di un popolo già ferito e che ha bisogno di bellezza. Di quella bellezza di cui Dostoevskij parlava in L’idiota come l’unica salvezza possibile per il mondo. Bellezza crocifissa da una guerra che non è mai giusta.
Putin ritira Tiziano da Milano. E Milano interrompe la direzione musicale di un direttore russo. Si pensa così di fare un doveroso intervento di pulizia etnica, come se la musica e il colore di un quadro fossero partigianeria. Come se una nota fosse imperfetta e potesse suonare un po’ più di qua o un po’ più di là. Ma in una nota, in una nota sola, può esistere tutta la bellezza di un mondo in frantumi, che si ricompone a quella nota. Perché negarci questa possibilità?
Cristo, nella sua icona, è lo Spas, il salvatore, il grande artista-protagonista di tutta la cultura russa, da Andrej Rublev a Tolstoj, a Dostoevskij e persino a Esenin e Majakovskij, i grandi poeti della rivoluzione russa. Ascoltando Quadri di un’esposizione di Musorgskij ispirata alla Grande Porta di Kiev, o Il Lago dei cigni di Ciaikoskij, situato nel cuore di Mosca, siamo presi da una struggente nostalgia. Davanti a quel lago, nel cuore dell’inverno, quella ripetuta melodia può cambiare i cuori.
Mosca. Figlia maggiore di Kiev e della santa Rus’ che con Cirillo e Metodio ha saputo scrivere il Vangelo in una sola lingua, il cirillico. Ammonisce Gesù: “Se un re va in guerra contro un altro re, che cosa fa prima di tutto? Si mette a calcolare se con diecimila soldati può affrontare il nemico che avanza con ventimila, non vi pare? Se vede che non è possibile, allora manda dei messaggeri incontro al nemico; e mentre il nemico si trova ancora lontano gli fa chiedere quali sono le condizioni per la pace” (Luca 14,31-33). Così riporta l’evangelista. Parabole da interpretare. Non è facile. Forse non è giusto e magari impossibile arrendersi di fronte all’invasore. Ma la voce di un Saggio, seduto sulle macerie delle città ucraine, potrebbe anche suggerire così.