Blog - 01 aprile 2022
Icone contro la guerra
Sembrano uscite da un quadro di Degas le quindici giovani ballerine ucraìne ospiti a Milano presso la sede del corpo di ballo di Kiev. Qui le ragazze, esili come piume, dopo la paura ricominciano timidamente a ritrovare il loro equilibrio sulle punte, a distendere le lunghe gambe sulla sbarra, a snodare i corpi flessuosi in armoniose geometrie. Purezza dell’arte e dei suo i ritmi. In quello stesso giorno (25 marzo scorso, festa dell’Annunciazione) il Papa consacrava la Russia e l’Ucraina al cuore immacolato di Maria, che è madre di tutti, anche di quelle quindici giovani ballerine profughe.
Di qua la pittura, l’arte, la fiducia. Di là la guerra. Di nuovo un muro divide in due l’Occidente : est e ovest. Di qua la Parigi di Degas, di Montmartre e della vie en rose. Di là la follia di un’ideologia omicida che sembra aver mischiato, nella mente malata di un leader, tutti gli “ismi” della storia: zarismo, comunismo, imperialismo e insieme consumismo e ricchezza sfrenata, fatto di enormi yacht e immense ville ubicate nel tanto odiato regno del male.
Un nuovo muro, un’altra cortina di ferro sembra rialzarsi tra l’est e l’ovest, nel cuore dell’Europa. Vittima l’Ucraina, per la sua posizione geografica di confine. E pensare che nelle acque del fiume Dnepr, che attraversa tutta la regione, dalla Bielorussia al mar Nero passando per Kiev, i primi popoli slavi, un meticciato di variaghi e germanici, hanno ricevuto nel X secolo il battesimo dal principe Vladimir. Qui, proprio qui, nella martoriata capitale dell’Ucraina, oggi sotto assedio, è nata l’anima della Russia, il suo primo principato, la culla di quella che sarebbe poi stata la grande Russia delle città-stato: Kiev, Vladimir, Pskov, Novgord, Mosca.
Ognuno di quei principati ha avuto la sua gloriosa scuola di pittura di icone, con sede nei grandi monasteri come quello, per esempio, delle Grotte di Pskov e della Lavra della Trinità, a 60 chilometri da Mosca. Oggi quelle stesse icone tremano incerte sui muri sgretolati delle case di Kiev, fino a cadere, ad ardere e sparire in cenere, consumate dagli incendi provocati dai tizzoni delle bombe. Davanti alle icone delle città russe, invece, brillano sicure le lampade nelle chiese e nelle abitazioni: Mosca, Pskov, san Pietroburgo. Davanti alle immagini sacre il fedele ortodosso, ucraìno o russo, in tempo di pace e anche oggi – dove può – farà lo stesso segno di croce con tre dita.
Ecco, forse anziché guardare la televisione, ascoltare la voce delle sirene mediatiche, dei social e degli opinionist, anziché infiammarsi d’odio l’uno per l’altro, bisognerebbe guardare alle proprie radici comuni che hanno nelle icone il punto focale più luminoso per tutti. Forse è proprio una questione di sguardo. Stare fermi in un cessate il fuoco spirituale davanti a immagini sacre che hanno parlato per secoli a intere generazioni. Consultarsi con loro come davanti a un oracolo antico. Forse uno sguardo può sconfiggere il mostro della guerra che è dentro di noi, di tutti. Scoprire, come diceva papa san Giovanni XXIII, apostolo della pace, che bisogna guardare alle cose che uniscono (e sono tante, anche in Russia, e vengono da Dio, come un dono) anziché guardare a quelle che dividono (e sono poche, e tutte vengono dal demonio). È una questione di sguardo. Di silenzio. Di ascolto di quei messaggi che i monaci della Santa ‘Rus hanno lasciato nei colori, nell’oro, nel disegno delle sante icone. Le ballerine che danzano a Milano nei loro candidi tutu sono già una risposta.