Blog - 23 gennaio 2023
In un ospedale di Venezia la terapia della bellezza non piace alla sinistra
Chi ha paura di un’icona della Santa Famiglia esposta nel reparto di ginecologia dell’ospedale civile dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia? Chi ha paura di quel fondo oro che ricorda l’antica pittura italiana su tavola del Due Trecento (Guariento, Giotto, Duccio per intenderci) e che attraverso quell’oro riempie di luce l’immagine di Maria e Giuseppe che coccolano il Bambino?
A chi fa paura un’immagine così innocente e pura, così affettuosa? A guardarla bene l’anima respira, soprattutto in un ospedale. Eppure, a Venezia, in consiglio comunale, i rappresentati della sinistra e dei cinque stelle hanno chiesto la rimozione dell’icona dal reparto di ginecologia dove era esposta, in quanto “divisiva, uno schiaffo alla laicità dello Stato, un invito a non abortire”.
La cronaca ci racconta invece che questa bellissima immagine della Sacra Famiglia, realizzata a Seriate (Bergamo) dalla scuola iconografica di Russia cristiana, proviene da una mostra di icone che è stata allestita nel novembre scorso nella Scuola Grande di San Marco. Durante il Natale poi l’icona è stata collocata accanto al presepio dell'ospedale e, passate le festività, su richiesta di medici e operatori sanitari. Nel mese di gennaio è stata esposta per qualche giorno nei vari reparti che lo richiedevano, tra cui quello di ginecologia.
Questo episodio, per fortuna conclusosi bene, è un invito a riflettere sul ruolo dell’immagine e sulla strana mentalità che si sta diffondendo di questi tempi. Come diceva il santo Curato d’Ars, un’immagine può convertire un’anima. O almeno suscitare domande, dubbi, incertezze, soprattutto oggi che viviamo nella cultura del dubbio, delle domande, dell’incertezza. Un’immagine sacra è un segno che non accusa né giudica nessuno, ma rimanda a qualcosa d’altro. Oltre le forme e i colori, è una finestra aperta sul mistero.
Bisognerebbe dunque ringraziare chi l’ha portata nei vari reparti dell’ospedale veneziano, gioiello architettonico del rinascimento ed ex convento benedettino. Per contro, perseguitare un’immagine – come hanno tentato di fare quei politici – significa azzerare la storia, rischiare di farci ripiombare nei secoli bui delle persecuzioni iconoclastiche, dove icone e crocifissi venivano bruciati e uccisi coloro che le difendevano. Fino a quando, nell’anno 843 d.C. l’imperatrice Teodora ristabilì il culto e la venerazione delle icone. Da quel momento, proprio attraverso le immagini, è fiorita la nostra civiltà occidentale, fondata ancor prima che sulla parola sulle immagini e sui segni. E l’icona, per usare un termine della moderna linguistica (De Saussure) è “un significante che rimanda a un significato”.
Oggi chi condanna un’immagine di pace come la Santa Famiglia di Nazaret forse si sente rimproverato da quell’immagine. Ma, se provasse a guardarla con occhi diversi – togliendosi le lenti dell’ideologia –, potrebbe leggere dietro a quell’immagine la propria fragilità umana, e sentirsi consolato. Quell’immagine racconta una storia molto umana: la titubanza di Maria nel ritrovarsi incinta, il turbamento e l’incertezza di Giuseppe nel ritrovarsi padre di un figlio non suo; e poi il parto di Maria al freddo, in una grotta, tra due animali; e la fuga della Santa Famiglia per sfuggire alla persecuzione di Erode che, per eliminare Gesù, fece una strage di bambini. Una natività disagiata. E un’inutile strage di innocenti, mentre si levava alto il grido di quelle madri.
E se nell’ospedale veneziano una donna in attesa e incerta sul da farsi di fronte a quell’immagine decidesse liberamente di tenersi il bambino? Sarebbe un bene o un male? Lasciamo dunque che la terapia della bellezza entri negli ospedali e nei luoghi di sofferenza come un canto, un antidoto, un’antica medicina. E attraverso quel segno, ritrovare sé stessi e il senso del mondo e della maternità.