Quel ruvido nodo d’amore
Antonello da Messina, Ecce Homo (1475) - Piacenza, Collegio Alberoni
Smagrito consunto quasi scolpito nel legno
Tutt’uno col giunco che ti lega spinoso
Il bel capo tondo e come fermaglio trattiene
Quei tuoi folti capelli inanellati dallo Spirito vivo
E quell’innocua cordicella per trainarti
Come tu fossi capretta o un tenero animale
Da condurre a un pascolo di sangue rotto
Quel piccolo nodo che sale e richiama
Dal gambo tuberoso la radice del naso fermo
Come la colonna romana dove ti hanno
Flagellato sputato sbeffeggiato – e ora sei lì
Eccoti Uomo – sotto il flash pietoso
Del pittore siciliano che milletrecento anni avanti
Ti ha segnato d’ombra gli occhi
Sotto due archi gotici di cattedrale in rovina
– Tutto il mondo in rovina dentro quegli occhi
Duemila e ventitré anni di cristianesimo fermi
Dentro quelle due nocciole mute d’occhi maturi
A guardare attirare comprendere perdonare
Questa lontananza di sputi invisibili che ti gettiamo
Attraverso i secoli sul volto ogni qual volta
Non vediamo Te nell’uomo che ci sta dinanzi il suo bisogno
Ecce Homo ecce – ecco l’uomo che è venuto in Te
Ed è rimasto tra noi trafitto nella storia
Come i chiodi del tuo dolore
In me – in te trafitto nel cuore
Buio sordo e fitto del mondo.