E il “grande” Saulo che diventò il “piccolo” Paolo
Caravaggio - Vocazione di San Paolo - Santa Maria del Popolo (Roma)
Aveva il nome di un grande re dell’Antico Testamento. Ma in un istante la vita gli si rovesciò addosso e diventò Paolo, il piccolo servo di Cristo. Piccolo anche di statura. Come Zaccheo. Ma che toccò le vette del cristianesimo. Nella cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma la grande tela (230x175) della Vocazione di san Paolo, opera di Caravaggio, sta di fronte a quella della Crocefissione di san Pietro di uguale dimensione (1600-1601). Entrambi questi santi sono le colonne della Chiesa.
Una luce entra dall’alto, da destra della grande tela, investe la fonte del palafreniere, illumina la bianca criniera del cavallo, tornisce le braccia di Paolo e va a battere sulla sua fronte , tramortendolo. L’elmo e la spada rotolano accanto a lui. Il mantello rosso fiammeggiante sembra una pozza di sangue. Saulo è a terra, ai piedi del suo cavallo che quasi lo calpesta. Il grande Saulo, persecutore di cristiani, da questo momento diventa il “piccolo” Paolo, servo di Cristo, che in quella luce gli si rivela. Paolo ha già conosciuto quella luce. È la stessa luce che illuminò il diacono Stefano, lapidato, preso a sassate fino alla morte davanti a lui. Saulo, raccogliendo il mantello di Stefano, quasi un passaggio di testimone, senza saperlo ne ereditava la missione. Pur restando per ora ancora nemico dei cristiani, loro acerrimo persecutore. Dal giorno del martirio di Stefano, su quello stesso cavallo che ora rischia di calpestarlo, Paolo ha percorso al galoppo la Galilea alla ricerca di cristiani da arrestare. E ora che sta per giungere a Damasco, dove c’è una importante comunità cristiana da perseguitare, una luce lo ferma. Rimarrà cieco per tre giorni finché a Damasco il cristiano Anania gli ridarà la vista in nome di quel Gesù che lui perseguita.
Caravaggio fotografa con il flash della sua pittura Saulo-Paolo crollato a terra e circondato dalle tenebre che incombono da ogni lato sul quadro. La luce della sua pittura si ferma innanzitutto a rischiarare il fianco possente del cavallo e quella zampa bianchissima e piegata che sembra uscire dalla altrettanto bianca criniera. Poi la luce scende dal monumentale baluardo del cavallo e trova Il mantello e la sopraveste di Paolo rossi come il sangue dei martiri, elementi che ancora suggeriscono con più evidenza una pozza di sangue che ricorda il martirio di Stefano. Anche Paolo in qualche modo passa attraverso un martirio, una sofferenza che gli toglie la vista e lo costringe a riconoscere Cristo come vera luce. Così le braccia di Paolo tese verso l’alto, anziché respingere la visione, si aprono all’ accoglienza, all’abbraccio di quel Cristo che in una tavola precedente (Conversione di san Paolo, Roma, collezione privata Odescalchi, dipinta nel 1600) Caravaggio aveva addirittura rappresentato in modo molto realistico e suggestivo, come un uomo in carne e ossa che scende dal cielo e, a pochi metri da Paolo, gli tende le braccia.
Ma Paolo è ancora a terra. Il volto riverso all’indietro e le pupille chiuse parlano di morte. Paolo brancola nel buio. La sua posizione è di debolezza e fragilità. Il suo stesso cavallo trattenuto dall’anziano servitore potrebbe calpestarlo. Il dramma è ancora tutto lì sospeso Se allungasse di poco la mano destra Saulo potrebbe sentire, nella sua cecità, il muso umido del suo cavallo. La realtà non è lontana. Potrebbe passare anche attraverso quel muso umido. Cristo è tutto in tutti. Anche il cavallo è protagonista dell’evento, con il suo peso, fermo e massiccio, incombe tra la terra e cielo come una quinta, un ponte, un baluardo di difesa. Paolo ora è “piccolo” ma potrebbe risalire su quel cavallo e – questa volta al seguito di Cristo – diventare finalmente il “piccolo grande” Paolo.