La Presenza di Maria - Mensile / Gennaio 2021
Il volto Santo
“Di te ha detto il mio cuore: Cercate il Suo Volto; il Tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il Tuo Volto”. Come ci ricorda il salmo 26, quel “Volto” lo portiamo dentro, impresso dentro di noi (potremmo dire) fin dal battesimo. Ma quel Volto a volte è nascosto, perso nelle nebbie della nostra memoria. Eppure quando diciamo “Gesù” ci appare alla mente un volto familiare. È lo stesso volto che l’arte e la devozione hanno proposto per secoli a intere generazioni. È il volto del “più bello dei figli dell’uomo”, un volto a cui ci hanno abituato due millenni di arte cristiana.
Ma qual è l’origine di questo Volto? Questa domanda coinvolge la storia dell’arte cristiana tout court, occidentale e orientale. Ma, a differenza che da noi in Occidente, sono soprattutto le icone d’Oriente ad averci tramandato i tratti del Volto di Gesù in modo ortodosso, fedele al suo Prototipo. E il primo e unico prototipo è il Volto della Sacra Sindone di Torino. Ma come immaginare gli occhi di Gesù che nella Sindone sono chiusi nel sonno della morte?
Ci viene in aiuto una seconda immagine, il Volto Santo di Manoppello, che una religiosa tedesca, suor Blandina Paschalis Schlòmer, con un paziente lavoro, ha sovrapposto punto per punto al Volto della Sindone con risultati stupefacenti: i due volti coincidono! L’immagine ottenuta ci mostra il volto di Gesù con gli occhi aperti. Se si arrivasse a stabilire l’autenticità del Volto Santo di Manoppello, avremmo tra le mani l’istantanea del volto autentico di Gesù al momento della resurrezione.
Ma ci sono altre storie e altri volti di Cristo che hanno influenzato la pittura di icone. Una terza fonte è rappresentata dal velo della Veronica, la donna che, secondo la tradizione avrebbe ricevuto da Gesù, sul calvario, l’impronta del suo volto su un asciugamano. L’imperatore Tiberio, malato, si fece portare quella reliquia a Roma e davanti all’immagine guarì all’istante. La reliquia della Veronica (la donna si chiamava in realtà Berenice, detta “vera-icona”) rimase a Roma, esposta in san Pietro fino al Cinquecento, e fu meta di continui pellegrinaggi da tutta Europa (ne parla Dante nella Divina commedia). Poi se ne sarebbero perse le tracce e alcuni sostengono si tratti dello stesso velo di Manoppello. Una quarta immagine-chiave nella nostra “filiera” di volti santi è quella che lo stesso Cristo, ancora in vita, donò al re Abgar, di Edessa, che attraverso questa icona ottenne anche lui la guarigione.
Partendo da queste immagini ci addentriamo nella sterminata galleria di icone che rappresentano il Volto Santo e che rivelano la loro somiglianza al modello Sindone-Manoppello. Possiamo così affermare che il Volto di Gesù è Uno come Una è la nostra fede. C’è però un ostacolo da superare. Noi occidentali siamo abituati alla dolcezza umana dei tratti del volto di Cristo. Nelle icone invece il volto di Gesù, pur nella sua bellezza formale, ha tratti più duri che sembrano respingere più che attrarre. Ma questo è un bene. Dobbiamo pensare che non si tratta della foto di un compagno di scuola ma dell’immagine teologica della divino-umanità di Gesù Cristo, così la chiamano gli ortodossi.
Davanti a un’icona infatti ci troviamo nella condizione di Mosè al quale Dio chiese di togliersi i calzari prima di avvicinarsi al suo santo monte. Occorre una purificazione degli occhi e del cuore. Uno sguardo spirituale. Per entrare in sintonia con quel Volto occorre darsi del tempo. Allora quel volto si rivela, ci parla, ci attrae. In qualche modo, attraverso il volto di Gesù, giungiamo a “vedere” Dio. “Filippo, chi vede me vede il Padre” (Giovanni 14,8).
Tra le icone del Santo Volto un posto particolare ha l’icona della Veronica, il telo o asciugamano in cui Cristo ha voluto, sul calvario, lasciare impressi i tratti del suo Volto. Sono tante le varianti del mandylion (dal greco, asciugamano). Per esempio un’icona del XVIII della collezione Bondarenko, p. 271) ci mostra il volto di Gesù scontornato sul telo con la barba, i capelli e l’aureola. Sorreggono il lenzuolo come uno stendardo due angeli. Dal capo di Gesù scendono due ciocche di capelli, a destra e a sinistra, che rappresentano i quattro evangeli diffusi in tutto il mondo. Il naso, perfettamente diritto, si raccorda nei due archi sopraccigliari sotto cui si aprono due grandi occhi vigili e profondi. La bocca è piccola e serrata, come di chi rispetti un voto di silenzio.
In quella che a mio avviso è una tra le più belle icone del Santo Volto, (quella di Jaroslavl’ che si conserva a Mosca, alla Galleria Tret’jakov non ci sono gli angeli, il telo è ridotto a pochi segni grafici e lo spazio visivo, l’inquadratura dell’icona, si concentra tutta sul volto che occupa l’intera tavola. La chioma di Gesù, ricca e gonfia, si espande intorno al volto, divisa in sette ciocche simboliche (i sacramenti?) che poi si dipartono in quattro trecce. Al centro della fronte due piccole ciocche di capelli, che si riscontrano anche nel Volto di Manoppello, hanno un significato teologico preciso: indicano le due nature di Cristo, quella umana e quella divina. Anche la barba si divide in due ma ciò che domina è lo sguardo: due occhi grandi e profondi che sembrano dilatarsi sotto le arcate sopracciliari. Tutto in questo Santo Volto conduce agli occhi, la curva dei baffi, la radice del naso, le sfumature dell’incarnato. Quello sguardo ci cerca, ci avvince, ci porta “dentro” a Gesù, ai suoi pensieri e sentimenti.
In un’altra particolarissima icona, quella del “Salvatore dalla barba umida” di Ustjug Velik, si ritrovano i tratti del Volto di Edessa. lo sguardo di Gesù, quasi “selvatico”, sembra uscito dalle profondità delle foreste russe, le gote accese per il freddo richiamano il volto dei monaci-contadini, eremiti delle steppe del nord da cui questa icona proviene.
In altre icone Cristo viene rappresentato a mezzo busto o a figura intera, in piedi o seduto su un trono Si sottolinea l’aspetto di Salvatore, Signore, Re dell’universo. La mano destra benedice mentre con la sinistra regge il vangelo tempestato di pietre preziose, In una icona moscovita del XVIII secolo che si trova nel Cremlino Cristo Salvatore, a figura intera, è addirittura rappresentato in modo del tutto innaturale, in piedi, assiso sopra un modellino in scala ridotta della città di Mosca, dalle bianche mura.
Nelle cosiddette “deesis” (icone di intercessione) Cristo è al centro di una lunga “teoria” (fila) di santi. A destra Maria, a sinistra Giovanni, a cui si aggiungono gli arcangeli Michele e Gabriele, Elia e Giovanni Crisostomo, gli apostoli, i martiri, i vescovi e i santi locali. Questa immagine di preghiera “cristologica”, di supplica e intercessione a Cristo re e salvatore, viene utilizzata soprattutto nella struttura delle iconostasi, tramezzi di legno che separano con un muro di icone la navata centrale dall’altare (p, 286-287). In queste “deesis” gli oranti sono rappresentati a grandezza naturale e di tre quarti, e mani tese verso il Salvatore al centro.
Se finora abbiamo parlato dell’icona del Cristo risorto, ora dobbiamo soffermarci sull’icona di Cristo “in passione”, sofferente. Il tema è stato poco diffuso nei primi secoli e fino all’anno Mille in cui l’immagine del crocifisso da glorioso diventa sofferente, grazie soprattutto alla predicazione francescana sulla Passione. Oltre alla rappresentazione del Crocifisso doloroso si diffonde anche l’immagine di Cristo deposto, per esempio nell’affresco di Giotto a Padova, nella cappella degli Scrovegni. Da qui deriva anche la rappresentazione del Compianto in cui Gesù, deposto sulla pietra dell’unzione (la stessa che si trova all’ingresso del Santo Sepolcro di Gerusalemme) viene adorato dagli Apostoli con Maria. Un esempio molto espressivo di questo tipo è rappresentato da un’icona greca del XVII secolo di Emmanuele Lambados, (museo bizantino di Atene). In una Deposizione del XV secolo (Mosca, galleria Tret’jakov) Gesù è avvolto come una mummia nelle bende funebri, mentre le braccia di Maria, delle pie donne e degli apostoli si innalzano in forma di supplica verso il cielo.
Dall’immagine di Gesù disteso nel sepolcro nasce un’altra icona molto particolare, oggetto di devozione sia in Oriente che in Occidente e dal forte significato eucaristico. In questa icona Gesù morto, ricoperto solo di un perizoma, sorge a mezzo busto dal sepolcro mentre Maria sorregge quel corpo rigido e senza vita. È l’iconografia della Pietà, popolarissima e che ebbe una straordinaria fortuna in Occidente, soprattutto nelle quattro versioni di Michelangelo, dalla giovanile Pietà Buonarroti in Vaticano alla tarda Pietà Rondanini del castello Sforzesco di Milano.
Siamo stati con Gesù attraverso le sue icone. Abbiamo conosciuto il suo Volto severo e amabilissimo, corrugato e affettuoso, doloroso e glorioso. Abbiamo contemplato il suo corpo trasfigurato e sofferente. Ma soprattutto, attraverso il silenzio che le icone suscitano, abbiamo imparato a stare davanti a quel Volto in silenzio, senza la fretta di voler capire tutto, di voler sentire a tutti i costi un’emozione tutta umana. Invece, nel sl4nzsio dei sensi, abbiamo ritrovato noi stessi, la nostra vera immagine, icona fatta a immagine e somiglianza della sua stessa icona.