Famiglia Cristiana web - gennaio 2013
Cappella del Rosario, scrigno di simboli
Situata nella Chiesa dei santi Filippo e Giacomo a Naso, in provincia di Messina, è stata oggetto di un accurato restauro. Una visita guidata.
La devozione alla più nota e popolare preghiera mariana, tanto cara al popolo siciliano, è al centro del restauro della cappella dedicata alla Vergine del Rosario e che oggi, dopo peripezie e spostamenti dovuti al terremoti e alluvioni, si può ammirare nella chiesa madre dei santi Filippo e Giacomo a Naso, in provincia di Messina. La cappella, fondata nel 1615 nella chiesa di san Pietro, distrutta nel 1874, trasferita e ricostruita nel 1934 in uno spazio laterale del Duomo di Naso, si chiama anche semplicemente “dei marmi” per la profusione di materiali lapidei dai mille colori con cui vengono intarsiati temi biblici e soggetti tratti dal mondo vegetale e animale.
Le pareti della cappella, come pagine di un’enciclopedia illustrata – un erbario o un bestiario medievale – in un tripudio di marmi policromi fanno di questo ambiente sacro un vero e proprio scrigno ricco di simboli da leggere e interpretare. Il suggestivo percorso ha come meta il quadro della parete di fondo, davanti all’altare, con l’effige della Madonna del Rosario che salvò la cristianità dai turchi musulmani durante la battaglia di Lepanto. Il quadro sacro è circondato dagli episodi che illustrano i 15 Misteri del Rosario. Sarà un Papa domenicano, san Pio V, a istituire la memoria liturgica della Beata Vergine Maria della Vittoria per ricordare quella data, il 7 ottobre del 1571.
Ai lati del trono e circondati da una folla di fedeli, i santi Domenico e Caterina accolgono il Rosario dalle mani di Maria. Lo stesso strumento di preghiera pende dalle zampe della Colomba posta in alto, sul soffitto, al centro della cappella. La pietra rossa circonda il nido dello Spirito Santo che arde nel fuoco che scende sugli apostoli e su tutti noi in una nuova Pentecoste. Nelle nicchie sulle pareti a destra e a sinistra sei sculture a tutto tondo dei santi domenicani Margherita d’Ungheria, Domenico di Guzman, Rosa da Lima, da un lato, Caterina da Siena, Vincenzo Ferrer e Maddalena Panettieri dall’altro.
Si può istituire un confronto autorevole e interessante tra questa cappella e quella del Roano che si trova nel Duomo di Monreale, capolavoro assoluto del barocco siciliano, anche qui caratterizzato dall’uso dei marmi cosiddetti “mischi”. Qui si toccano i vertici della magnificenza artistica e del sentimento religioso tipico del Seicento, dove stupore e meraviglia si fondono con la cultura siciliana, meticciata con elementi arabi, orientali e persino africani. Ma, rispetto alla cappella Roano del duomo di Monreale, qui nella cappella del Rosario di Naso tutto avviene nel segno di una maggiore sobrietà. Entriamo dunque con i nostri sensi spirituali in questo percorso in cui interagiscono forme del mondo vegetale e animale, che hanno segnato la storia delle religioni, delle culture e delle civiltà: simboli sumeri, babilonesi, egizi, romani, dell’ebraismo e del cristianesimo, immagini giunte fino a noi attraverso la grande filiera di quello spirito religioso che è presente in tutte le fedi e a tutte le latitudini.
Tra i simboli intarsiati nel marmo troviamo la conchiglia, la melagrana, la pigna, il labirinto, la croce, la stella a otto punte. Tra gli animali il corvo del diluvio, il pellicano simbolo dell’amore che si sacrifica, il leone, la fenice e il pavone che, anziché fare la ruota (simbolo negativo di vanità), esprime la fiducia nella vita eterna e nella resurrezione. Poi il serpente, immagine dal duplice significato di morte e di guarigione, oltre ad altri ambigui animali che lottano contro il proprio istinto. I fiori poi indicano un percorso spirituale: ecco il fiore a otto petali che nasce da una serie di vasche di fontana sovrapposte; ecco le quattro stagioni della vita dell’uomo che portano al vertice della quinta stagione, quella dopo la morte.
Il simbolo della fontana acquista una valenza teologica, ma anche materiale: le quattro vasche rappresentano infatti le quattro ere geologiche così che i marmi diventano la strada attraverso cui il mondo e l’umanità che lo abita, attraverso l’evolversi magmatico delle rocce, cammina verso una nuova pienezza. Il frutto del melograno tra le mani di Cristo rappresenta la pienezza della vita ed è contrapposto al frutto dell’albero della vita che portò alla morte Adamo ed Eva, così come l’albero della croce porta la salvezza attraverso il sì di Maria, il cui simbolo per eccellenza è la rosa, fiore mistico e simbolo di saggezza già presso i romani.
Intorno alla rosa si aprono foglie di quercia e di faggio che rievocano la mitologia greca così sentita e viva in terra di Sicilia. Un roseto senza spine fiorisce marmoreo intorno alla Regina, al “fiore dei fiori”, alla nuova Eva – Maria – che coltiva questo roseto là dove Eva aveva coltivato quel roseto di spine che rappresenta il peccato, nel cui groviglio era rimasta prigioniera, uncinata dal peccato, l’umanità intera. Ancora piante da bulbo come il giglio ricordano la stella di Salomone e il narciso il fiore del Cantico dei cantici. Le rose blu ricordano il colore del manto celeste di Maria. Blu sono anche le oscure porte dove si riflette Narciso. Blu è la tunica di Cristo che ricorda il colore della natura umana. Blu è anche il colore della rigenerazione biopsichica.
E se è vero, come le moderne scienze suggeriscono, che si può guarire anche attraverso i colori, in questo tripudio di materia e grazia vive una nuova creazione. Ogni frammento marmoreo, ogni molecola, ogni pigmento trova il suo posto nell’insieme della cappella come note diverse trovano unità in un unico spartito musicale. E il segreto del luogo è forse in questa musica silenziosa e celeste che nasce dalle forme e dai colori. Il tema teologico fondamentale di tutta la cappella è la caduta e la redenzione, dentro e fuori di noi. Il volatile bianco che la domina esprime questo percorso cristologico e mariano, un percorso spirituale da fare invidia ai moderni cultori della new age e che ci fa capire come davvero Cristo-Dio, con la sua incarnazione, morte e resurrezione, abbia nascosto nella terra, nelle pietre e nei colori, un seme di immortalità affidato alle mani degli artisti che, attraverso la bellezza, ci riportano a Maria, Madre di tutti e salvezza dell’intero genere umano.