Famiglia Cristiana n° 05 - gennaio 2005
FELICITÀ DELLO SGUARDO
A Pavia la mostra Paesaggi pretesti dell'anima sulla capacità di vedere i luoghi e l'anima.
In questi ultimi anni le mostre d'arte dedicate al tema - e alla suggestione - che il paesaggio ha da sempre esercitato sull'animo umano (e sugli artisti in particolare) si sono moltiplicate. E con successo. Si va dalle "cattedrali della terra" (o la montagna tra arte e scienza, orrido e sublime) alla pittura di paesaggio norvegese (da Dahl a Munch); dalla campagna romana (da Hackert a Balla) alle marine partenopee (l'olandese Pitloo al museo Pigantelli di Napoli fino al 27 febbraio). Venezia emerge languida dalla sua laguna in Turner and Venice (museo Correr fino al 23 gennaio). A Brescia e Torino grande successo per Monet, la Senna e le ninfee (prorogata al 3 aprile) e Gli impressionisti e la neve.
La città di Pavia sposa arte e letteratura proponendo sul tema una variante originale: Paesaggi, pretesti dell'anima - al Castello Visconteo fino al 3 aprile -, che racconta in sei suggestivi capitoli la storia del paesaggio italiano tra Sette e Ottocento.
A ogni capitolo si accompagna un testo d'autore che ne individua e sviluppa il senso. La sezione "Sguardi" è introdotta da Giacomo Leopardi che, a proposito della visione del mondo che si ha da una finestra, scrive: "l'anima desidera una veduta ristretta e confinata... l'anima si immagina quello che non vede... va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe ... perché il reale escluderebbe l'immaginario" (Zibaldone, 28 luglio 1820).
Ma cosa sta guardando (e pensando) la Fanciulla sulla roccia a Sorrento nella grande luminosa tela di Filippo Palizzi? A osservare da vicino l'opera, scopriamo che, lungo il profilo della roccia, l'artista ha tracciato con il pennello questa strana epigrafe: Egli mi pose a giacere su questa roccia, mi dice di guardarti da mattina a sera e dirti sempre: sii felice. Felice.
Sereni di fronte all'insidia del Male
Dunque la felicità dello sguardo è il segreto dell'uomo posto nel mondo (con il suo "io" autocosciente) da Qualcuno (Egli) che è altro da lui; e che gli dice: guarda e sii felice. Sempre. Anche di fronte al Male che pure esiste, incombe e può esplodere incontrollato: come quel mare che ora è calmo, ma domani potrebbe travolgere la bella ragazza.
Proprio come nell'enorme quadro Dopo il Diluvio (182 centimetri per 225) dello stesso Filippo Palizzi, pittore verista amico del più noto Teresio Morbelli (la mostra, oltre ai "grandi" - Fattori, Zandomeneghi, Signorini, Pelizza e Inganni -, ci fa conoscere artisti minori ma significativi del nostro '800). Nel Diluvio di Palizzi, dunque, l'Arca ha appena depositato sulla terra devastata tutte le specie viventi scampate al diluvio.
La mente corre subito alla cronaca della tragedia del maremoto nel Sudest asiatico. Nel quadro il rigoglio edenico della vita animale - in un mondo dove la presenza umana è cancellata - ci richiama a ciò che nella realtà abbiamo appreso dai giornali: gli animali si sono salvati. Come ha confermato l'etologo Danilo Mainardi, infatti, pesci e crostacei hanno lanciato l'allarme parecchie ore prima; così, attraverso una straordinaria e misteriosa rete di comunicazione - che è mancata al genere umano - gli animali si sono salvati.
La sezione "Le opere e i giorni" apre con uno dei grandi temi del Novecento, il rapporto uomo-natura, rotto da inurbamento e industrializzazione. L'uomo modifica quel paesaggio che da secoli è stato il teatro dove si ripeteva - al ritmo lento e religioso delle stagioni - il rito della semina e del raccolto; in un alternarsi di fatica e riposo, allietato dalla gioiosà delle feste paesane. Nell'Ottocento da un lato si accentua il conflitto, mentre dall'altro cresce e si sviluppa il mito romantico della vita contadina: conflitti e idilii che la pittura dell'epoca esalta con i suoi mezzi espressivi.
Si spezza l'idillio fra uomo e natura
Come nello splendido Fienaiolo di Plinio Nomellini, allievo del grande Giovanni Fattori (di cui è esposta una stupenda Libecciata del 1880-85); come in Ozio e lavoro di Michele Cammarano (1863), dove il fattore controlla il contadino che ara. Come nella sanguinosa Pesca del tonno in Sicilia, fermata dal pennello di Antonino Leto (1881); cui si contrappone la pratica sportiva - da "tempo libero" - celebrata da Egisto Ferroni nei due pannelli La pesca e La caccia (1882-84).
Per chiudere con il fascino del paesaggio cittadino non ancora invadente e claustrofobico (come sarà nella città futurista), ma che conserva la dolcezza dei lungarni fiorentini e delle vie di Napoli: spaccati di umanità e balconi fioriti di panni stesi ad asciugare.
BREVE STORIA DEL PAESAGGIO DALL'EDEN AL '900
Il paesaggio è nato con l'uomo: l'immagine del giardino dell'Eden dove Dio si incontrava con l'uomo nella brezza della sera rappresenta il suo primo riferimento. La pittura sacra bizantina sostituisce al paesaggio la metafisica dei fondi oro. è con Giotto e Masaccio che nasce il paesaggio tra natura e storia, campagna e città. La Tempesta di Giorgione rappresenta un passaggio-chiave: uomo e natura sono sullo stesso piano, hanno lo stesso valore. Nei grandi paesaggisti francesi Lorrain e Poussin, attivi in Italia nel '600, l'uomo è un puntino sperduto in grandi lande solitarie e boschive: la Natura diventa protagonista assoluta e si sviluppa quel sentimento del pittoresco che vedrà muoversi, tra statue e quinte arboree, i personaggi dell'Arcadia e i nobili che abitano le ville patrizie immerse nel verde dei loro grandi parchi.
Nel '700 il paesaggio classico italiano con le sue rovine è il soggetto preferito dei pittori del Grand Tour: vedute-cartolina da Napoli, Roma, Venezia, Palermo. Nell'800 romantico il paesaggio partecipa e amplifica i sentimenti stessi dell'uomo; poi si fa impressionista, espressionista con Van Gogh, simbolista con Gaugin; infine il Grido angosciato di Munch si ferma sull'orlo dell'abisso che è il Novecento. Magritte rompe il vetro che separa esterno e interno; e Dalì denuncia l'ambiguita del visibile nei suoi paesaggi surreali e paranoici.