Famiglia Cristiana n° 05 - febbraio 2007
I 26 MARTIRI GIAPPONESI DIPINTI DA LUCA HASEGAWA
DA NAGASAKI A CIVITAVECCHIA
Domenica 4 febbraio sotto gli affreschi del maestro giapponese si ricorda il sacrificio dei 26 missionari che il 5 febbraio 1597 seminarono Cristo nella terra del buddhismo e dello scintoismo.
Il cielo è grigio di nubi ma qua è là si aprono squarci d'azzurro. La collina, costellata di croci, è d'oro come se la terra ardesse di santità. Non c'è dramma ma elevazione. Al centro Pietro Battista Bazquez legato mani e piedi alla croce; la posizione centrale, l'iscrizione sul capo e il saio, stretto dalle funi, lo identificano: è lui il superiore del gruppo di sei francescani che il 9 aprile 1596, a Osaka, vennero arrestati e costretti a marciare, nel duro inverno, fino ai piedi di questa collina; per essere crocifissi insieme a un gruppo di tre gesuiti giapponesi e 17 laici, tutti vestiti di bianco. è il mattino del 5 febbario 1597 e quegli uomini, missionari o semplici catechisti, sono colpevoli di essere cristiani e di fare proseliti in concorrenza ai monaci buddhisti.
Sotto le croci le guardie, vestite da samurai, si danno da fare a legare, innalzare, colpire i condannati con lunghe lance. Gruppi di donne, in abiti da cerimonia, piangono. A destra di Pietro Battista appeso in croce c'è un ragazzo di 12 anni con una tunica bianca: Ludovico Ibaragi, il più giovane dei martiri che sulla collina di Nagaski, di fronte al porto dove arrivano le navi dall'occidente, stanno morendo per Cristo. Più in là altri uomini crocifissi: tra loro identifichiamo Paolo Miki, gesuita, nativo di Kyoto, che esorta i compagni a perdonare i carnefici.
Un pittore giapponese in Italia
Non è il copione di un drammatica sequenza cinematografica; e neppure siamo in una chiesa giapponese, magari a Nagasaki, dove un santuario fu eretto proprio per ricordare il martirio di San Paolo Miki e compagni. Siamo invece in Italia, a Civitavecchia, e questi affreschi del pittore giapponese Luca Ryuzo Hasegawa raccontano - nella chiesa a loro dedicata - il sacrificio dei 26 missionari cristiani crocifissi, che il pittore ha ritratto sulle pareti dell'abside, identificabili ciascuno per nome.
Come ogni anno, domenica 4 febbraio, festa dei Santi martiri giapponesi (canonizzati da Pio IX nel 1862), sotto questi affreschi si svolge una solenne celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale giapponese Stèphen Hamào Fumio, dal cardinale emerito di Boston Bernard Francis Law e da monsignor Girolamo Grillo, vescovo uscente di Civitavecchia; alla presenza del sindaco, degli ambasciatori e di tutta la comunità cattolica giapponese di Roma.
Padre Francesco D'Angeli, dei frati Minori, che negli anni '50 fu parroco di questa chiesa di Civitavecchia, ci racconta tutto questo. Ricordando con affetto e commmozione l'amico e pittore Lucas Hasegawa che in quegli anni - dal 1951 al 1957 - lavorò con dedizione a questa grande opera monumentale, unica in Italia su questo tema. E che mette in luce quel filo d'oro che lega Nagasaki a Civitavecchia. Come ricorda padre Francesco, Lucas Hasegawa, convertitosi in gioventù dallo scintoismo al cristianesimo, dovette passare come prova un mese in un lebbrosario giapponese prima di poter ricevere il battesimo. Per la chiesa dei Santi martiri di Civitavecchia ha lavorato senza chiedere compenso; diventando anche lui in qualche modo "martire", nel senso di testimone, così come si è autoritratto in preghiera sotto la crocifissione. Lasciandoci scritta in una lettera questa testimonianza: "Ogni pennellata è stata per me una preghiera".
La Madonna col kimono
Al centro dell'abside, in un cielo blu lapislazzulo, Hasegawa ha dipinto una splendida Madonna col Bambino in piedi su un fluttuante tappeto verde, vestita in abiti giapponesi del XVI secolo. Ai lati san Francesco d'Assisi, san Francesco Saverio (primo gesuita missionario in Giappone), santa Firmina (protettrice di Civitavecchia); e soprattutto Hasekura Tsunenaga, un semplice laico, ritratto in abiti giapponesi e con in mano il rosario: fu il primo cristiano a sbarcare a Civitavecchia nel secolo XVII proveniente dall'Impero del Sol levante.
Questo legame è testimoniato anche dagli stemmi dipinti tra ideogrammi giapponesi sull'architrave tra l'abside e il catino: simboli dei daimyo, signori feudali del periodo Edo (1603-1868), nobili cristiani che ebbero rapporti con la chiesa di Civitavecchia. Segno di una primitiva, vivace presenza di una comunità giapponese in Italia.