Famiglia Cristiana n° 06 - febbraio 2007

NEL VII CENTENARIO DELLA MORTE DI IACOPONE DA TODI

IL FRATE CHE L'ARTE RESE BEATO

La città festeggia l'illustre cittadino con una mostra che ne ricostruisce vicende storiche e iconografia; e ritrova nell'arte del duecento umbro i temi delle sue celebri laudi.

L'immagine mistica, la scarna biografia (fondata su esigui documenti) e la grande opera poetica del frate tudertino Iacopo de' Benedetti - più noto come Iacopone da Todi - emergono dalla mostra che questa bella città umbra ha voluto dedicare al suo illustre concittadino nel VII centenario della morte, avvenuta la notte di Natale del 1306. Alla mostra, dal titolo Iacopone da Todi e l'arte umbra nel Duecento, aperta fino al 2 maggio, si accompagnano cicli di letture dal suo Laudario che - insieme ad alcune composizioni latine come lo Stabat Mater (che gli viene attribuito) - fanno di lui il secondo grande poeta duecentesco dopo Dante. Queste Lecturae iacoponis si svolgono nella chiesa di san Fortunato (www.iacoponetodi.it) dove, in un sarcofago posto nella cripta sotto l'altare, riposano le ossa del frate-poeta.
Deve partire da qui, dalla visita a questa chiesa che dall'alto domina i tetti medioevali di Todi, la scoperta di Iacopone e della sua forte personalità: nei sotterranei dell'annesso convento dei frati minori, infatti, egli passò i cinque anni più drammatici della sua vita. Prigioniero e scomunicato. Tormentato dal freddo e dal caldo, dalle mosche e dalle pulci: lo iorno le mosche dentorno spavalde / mordennone valde, che non ne do posa; / passata esta cosa, et entra la notte; / le pulce so' scorte a ddar loro beccata. Nella cella di san Fortunato scriverà gran parte dei suoi Cantici spirituali dal ritmo aspro e dalla sintassi spigolosa. Lamentandosi non tanto per la prigionia - che, anzi, era per lui occasione di penitenza e ascesi -, quanto per la scomunica del Papa, che lo separava del desiderato Bene finale: la salvezza dell'anima, il Paradiso.

Da "bizzoco" a francescano
Prima della conversione, da quel poco che sappiamo, Iacopone fu uomo di mondo, notaio e poi consigliere del comune di Todi nel 1259; dopo il 1268, anno della morte della moglie (sul cui corpò trovò il cilicio dei penitenti) seguirono dieci anni di dura ascesi. Mendicava per le strade dell'Umbria portando sul capo il lungo cappuccio dei "bizzochi", cioè dei penitenti e sopportando ogni umiliazione. Nel 1278 entrò nei frati minori francescani; fu sostenitore della corrente rigorista degli spirituali ma il rifiuto di Pietro da Morrone, favorevole agli spirituali, di restare Papa (lo fu per cinque mesi col nome di Celestino V) lo spinse a partecipare alla crociata dei Colonna contro Bonifacio VIII, risoltasi nel 1297 con la sconfitta di Palestrina. Fu punito dal Papa con il carcere a vita e la scomunica; di se stesso scrive: Que farai fra' Iacovone? / èi venuto al paragone. / Fusti al monte Pellestrina, / anno e mezzo en desciplina. Uscirà di prigione solo nel 1303, alla morte di Bonifacio VIII: revocata la scomunica Iacopone può indossare di nuovo il saio francescano. Gli ultimi tre anni della sua vita li passa presso le clarisse del convento di Montesanto, appena fuori Todi, visibile dal parco della Rocca, dietro san Fortunato.
Nel 1433 le spoglie di Iacopone dal convento verranno traslate in san Fortunato, dove il cardinale Angelo Cesi, vescovo della città, nel 1590 le farà solennemente trasferire in un sarcofago di marmo nella cripta della chiesa. Accanto, su una lastra di marmo, leggiamo: Ossa beati Iacoponi; e in un tondo un suo ritratto con tanto di aureola. Così le parole fatte incidere nel marmo e l'arte con il suo linguaggio figurato beatificheranno così, in forma del tutto ufficiosa, il poeta tudertino dalle dure rime in volgare. Cantore dell'amore per Cristo e sua Madre, colti nella tenerezza della Natività come nel dolore della Deposizione. Temi classici della spiritualità francescana che vengono ripresi dall'arte del Duecento, negli splendidi crocifissi, nelle tavole dipinte e nelle sculture esposte qui a Todi nella mostra a lui dedicata.
Scendiamo dunque da san Fortunato alla Piazza centrale, dove dalla torre del Palazzo comunale, sede espositiva, un grande stendardo-manifesto ci invita a entrare. Salendo la ripida gradinata vengono alla mente alcuni tra i versi più belli di Iacopone: Amor, amore' grida tutto 'l mondo / Amor, amore' onne cosa clama. L'amore mistico di san Francesco che troveremo ritratto da Cimabue in una suggestiva tavola, forse la stessa usata come coperchio alla sua bara. E l'amore scolpito e dipinto in tante Madonne col Bambino, e nello splendido gruppo del Cristo deposto: Figlio bianco e biondo, / figlio volto iocondo, / figlio, perchè t'à el mondo, / figlio, cusì sprezzato?

Gli bastava la salvezza dell'anima
Sentimenti di accesa religiosità che un vasto repertorio di opere d'arte del duecentesca qui raccolte testimonia. Ma prima ci fermiamo nella Sala delle ceramiche dominata dalla teoria di ritratti a mezzo busto di tudertini illustri, tra cui fra' Iacopone che si stringe alla guancia, come un violino, l'amato crocifisso. Passano sotto i nostri occhi le edizioni più antiche del suo Laudario (dove sempre è nominato "beato") e alcune miniature che lo ritraggono inserito in un ricco capolettera, oppure a piena pagina; o, con spirito più narrativo, dietro le sbarre della prigione. Infine ecco il prezioso affresco staccato di Paolo Uccello.
Passando nella pinacoteca, le grandi tele del '500 e del '600 rappresentano Iacopone secondo l'iconografia dei santi: crocifisso, rosario, teschio e aureola sul capo; confuso tra i santi come nelle grandi tele Incoronazione della Vergine dello Spagna e Apparizione di Cristo risorto di Andrea Polinori. Ma Iacopone non si stimava "beato". E neppure chiedeva di essere liberato dalla prigione. Gli bastava - e così lo supplicava - che Bonifacio VIII gli togliesse la scomunica. Dimostrando di desiderare di più il perdono e la salvezza dell'anima che quella del corpo; più la santità personale che la considerazione degli uomini: Per grazia te peto / che me dichi: "Absolveto", / e l'altre pene me lassi / fin ch'e' de mondo passi.