Famiglia Cristiana n° 08 - febbraio 2010
DON JOSEPH HURTON, DA CINQUANT'ANNI IN MISSIONE
IL SAMARITANO DELLE ALPI
Ai piedi dello Stelvio, nella splendida conca di Solda, grazie al parroco-alpinista nasce una stazione di soccorso alpino che è un modello di tecnica e umanità.
"Nove su dieci degli attuali componenti della squadra di soccorso alpino di Solda li ho battezzati io". Don Joseph Hurton, 82 anni, capelli bianchi e folti, modi gentili, da cinquant'anni è parroco (oggi emerito) di Solda, il Comune più alto del sud Tirolo: 1.900 metri di altitudine, 400 anime e oltre 40 mila presenze turistiche annue. Il prossimo 25 marzo don Hurton celebrerà i suoi cinquant'anni di attività pastorale. E lo farà senza clamore. Forse non sarà neppure in paese per quella data.
Don Joseph è il pastore. Non ama attirare l'attenzione su di sé. Preferisce vigilare sugli altri. E servire con amore questo suo popolo di valligiani e turisti. Chi capita qui a Solda per escursioni, o per scalare uno dei più bei gruppi alpini, l'Ortles Cevedale - (che con le sue cime oltre i 3 mila è stato la palestra ideale dove Reinold Messner si è allenato per i suoi 8 mila) - sa di trovare in don Joseph un amico silenzioso e discreto. Sempre pronto a mettersi in gioco per te.
Capo della stazione di soccorso di Solda dal 1970 al 2000, don Joseph è partito innumerevoli volte nel cuore della notte con la sua squadra per cercare, sotto le valanghe o nel fondo dei burroni, i dispersi di qualche spedizione. Dai 50 ai 60 interventi all'anno per trent'anni, una media che rispecchia ancora la situazione attuale: due terzi di escursionisti ritrovati fuori pericolo (lievi lesioni e qualche non grave attacco cardiaco) e circa un terzo raggiunti in situazioni gravi ma con buone possibilità di recupero. In media solo due o tre decessi all'anno. Una media bassa quando si ha a che fare con questo mondo verticale di roccia friabile e ghiaccio.
Don Joseph è innamorato di queste montagne che gli ricordano la sua terra nativa - la Slovacchia -, e quei monti Tatra su cui camminava e sciava (ma dal lato opposto, in Polonia) anche il giovane Karol Wojtyla. Racconta don Joseph: "A Solda, dove arrivai cinquant'anni fa, mi attrasse subito il ghiaccio, perché d'estate emana freschezza e d'inverno, con i suoi crepacci, cambia in continuazione il volto della montagna".
Prosegue il sacerdote: "Non è la montagna a essere cattiva, ma le cime hanno le loro leggi che vanno rispettate. Bisogna sapersi fermare. Persino Messner lo ha fatto tante volte nelle sue imprese, quando magari gli mancavano soltanto 200 metri alla cima. Io ho sempre tenuto i piedi ben saldi sulla roccia, non mi sono mai buttato in avventure. Tranne una volta in cui sono sceso in un crepaccio senza imbragatura per effettuare riprese televisive: sono caduto e ho riportato la frattura del bacino".
Don Joseph non è solo un parroco con la piccozza, i cani da valanga e l'elicottero. è anche un parroco con la cinepresa. Fa parte della sua vocazione. Dagli anni Cinquanta, per la Rai, ha girato una ventina di film sulla montagna (e vinto a Cannes un premio nel 1971) da proiettare negli alberghi per trasmettere ai turisti, insieme all'amore e al rispetto per la montagna, anche il senso della vita e della fede.
I primi elicotteri nel soccorso
A Solda incontriamo uno degli ex ragazzi di don Joseph, Olaf Reinstadler, che dal 2002 ha preso il suo posto come capo del soccorso alpino. Olaf (44 anni e una figlia) è anche guida alpina, elicotterista e panettiere: "Per vivere qui bisogna adattarsi a fare vari mestieri. Il soccorso alpino è una passione che non dà ricompensa ma ci fa sentire utili agli altri. Don Joseph ci ha comunicato l'amore per il prossimo, come si tratta con le persone sepolte sotto le valanghe, come si portano a valle i morti".
Tutto cominciò quando il vecchio parroco predecessore di don Joseph finì sotto una valanga e lo ritrovarono dopo tre mesi e mezzo. Era il 1960 e dopo questo episodio a Solda, grazie a don Joseph, venne fondata una scuola per cani da valanga e si iniziò a impiegare per la prima volta l'elicottero nel soccorso alpino (oggi si chiama il 118). Da allora don Joseph ha incrementato ogni azione utile a rendere sicura la montagna ed efficiente la sua squadra di soccorso.
"Ho insegnato ai miei ragazzi, oggi sposati e padri di famiglia, la fede nella resurrezione: il corpo di un alpinista morto non è un pezzo di legno, risorgerà e sarà glorificato un giorno con l'anima. Così si prega e poi lo si riporta a valle con la massima cura. Dopo ogni salvataggio la squadra si raduna in un bar, magari non si parla per la stanchezza, però dagli occhi di tutti trapela una enorme contentezza: abbiamo fatto qualcosa, abbiamo salvato un uomo, abbiamo portato con dignità a valle un morto".
Don Joseph Hurton viene da lontano. Non tanto la distanza fisica, ma morale. Ha rischiato la vita per la libertà, un dono che apprezza ancora oggi enormemente nel nostro Paese. è fuggito dalla Slovacchia, da oltre cortina, rischiando la vita negli anni duri del comunismo reale. E, prima, del nazismo. Nato a Macov-Bratislava il 25 marzo del 1928, studia prima in territorio controllato dal Reich (la grande Germania) e poi nel suo paese d'origine aggregato all'Ungheria, dove la sua famiglia viene confinata in quanto sgradita al regime nazista. Si iscrive alla facoltà di Medicina ma il primo esame è politico: "Credi in Dio?", gli domanda un'apposita commissione. La sua risposta è "Sì" e insieme ad altri intellettuali, medici, avvocati e sacerdoti viene deportato in un lager in Boemia. Fugge dopo un anno e, impressionato dalla forza d'animo che ha visto nei sacerdoti suoi compagni di prigionia, decide di entrare in seminario a Roma. Poi sceglie il Tirolo che gli ricorda i suoi monti e la bellezza di Dio che da giovane non ha mai rinnegato.
Come il buon pastore, alla gente di Solda don Joseph ha dedicato la vita. Diffondendo l'amore per la montagna come primo gradino verso Dio. E ci confida: "Se la natura umana cammina bene, anche la Grazia cammina bene. Però la Grazia non può lavorare dove la natura non cammina bene".