Famiglia Cristiana n° 10 - marzo 2010

DON NAGLE, CALIFORNIANO, IN MISSIONE IN TERRA SANTA

LA FEDE E LE FEDI DI PADRE VINCENT

La madre ebrea, il padre sindacalista, la sorella buddista. Dalla new age alla conversione. E l'impegno per la pace.

A volte la speranza della pace può passare attraverso la storia di una vocazione eccezionale come quella di Vincent Nagle, cinquantaduenne sacerdote californiano in missione in Terra Santa.
"Sei nato ebreo, sei diventato sacerdote cattolico e hai studiato l'islam: tu devi andare laggiù, quello è il tuo posto!". Questo il lapidario commento della madre di Vincent, sesto di otto figli, nato a san Francisco nel 1958, che dopo due lauree, quattro anni come insegnante di inglese in Marocco e nei Paesi arabi, completati gli studi di teologia a Berkley, entra in seminario a Roma, consegue una laurea in Lingua araba e Storia della religione islamica presso il Pontificio istituto per Studi Islamici e nel 1992 viene ordinato sacerdote della fraternità missionaria san Carlo.
Dopo 10 anni come cappellano in un ospedale di Boston, raccontata nel libro Sulle frontiere dell'umano. Un prete tra i malati (Rubbettino), Vincent vive oggi al servizio delle piccole comunità cristiane di Nablus (750 cristiani) e Ramallah (5.000) ed è collaboratore del patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal.

- Don Nagle, qual è l'esperienza che stai vivendo nella patria di Gesù?
"Qui si sperimenta un'estrema tensione e si innalzano muri che dividono. Eppure, nella chiesa del Santo Sepocro, divisa tra cattolici, armeni, ortodossi, copti ed etiopi, si vive il paradosso che quelle stesse mura che dividono permettono anche di condividere lo stesso luogo: popoli che hanno conosciuto Cristo, Colui che, come dice san Paolo, ha distrutto il muro di divisione".
- Partiamo dalla matrice ebraica: cos'hai imparato da tua madre?
"Un forte senso di appartenenza e la memoria dell'olocausto".
- Hai conosciuto anche la new age e praticato il buddismo...
"Quando avevo quattro anni da san Francisco ci siamo trasferiti a Nord dove nascevano le prime comunità dei figli dei fiori: mia mamma seguiva un guru e mia sorella quindicenne ha conosciuto il buddismo giapponese e mi ha insegnato l'arte della meditazione. Ma non ho mai pensato di farmi buddista".
- E il cattolicesimo?
"Mio padre era un sindacalista di tradizione cattolica ma poco praticante. Tra new age e cattolicesimo sociale ho comunque conservato la coscienza di essere stato battezzato".
- I tuoi studi?
"Ho studiato all'Università dei gesuiti: per me sentire parlare di "verità" era assurdo e offensivo; ritenevo inaccettabili anche le posizioni morali contro aborto e omosessualità, anche se riconoscevo che loro stessi erano i primi a sacrificarsi per chiunque si trovasse in difficoltà, al di là delle loro idee".
- Hai iniziato a pregare in Marocco?
"Sì, il mio primo rapporto con Dio è iniziato a contatto con i colleghi musulmani che mi hanno messo davanti all'oggettività del Mistero di cui avevo sempre avuto un senso indefinito. "Dio non è quello che tu pensi o senti!", mi dicevano. è stato per me un passaggio decisivo. Mi fermo e dico: hanno ragione! Se dicessi davvero di credere in Dio, l'unica cosa sensata sarebbe quella di conoscere quale sia la Sua volontà. E per la prima volta ho pregato".
- Chi hai pregato?
"Il Padre di Gesù. è paradossale: dopo aver passato anni come responsabile della pastorale giovanile americana e aver guidato io stesso chissà quanti ritiri spirituali non avevo mai pregato! E ho cominciato a farlo tra i musulmani".
- Come pregavi?
"Con due strumenti: il rosario e un breviario che mia madre acquistò per me nell'unica libreria cattolica di san Francisco. Mi ripetevo: Dio è Dio, io non lo sono. Ho continuato a pregare e ho ricevuto grazie molto forti".
- Per esempio?
"L'incontro con Maria: ne ho avvertito la presenza fisica. In Marocco ho vissuto un'altra esperienza: mi sono "visto" a un anno e mezzo, malato, in braccio a mia madre che di solito non non era affettuosa con noi; eppure in quella "visione" mia madre mi portava su e giù con un amore infinito. Ho capito allora che l'unica cosa che conta nella vita è il bisogno d'amore e capire da dove viene la risposta a questo bisogno".
- C'è chi non merita questo amore?
"Il merito non c'entra: l'unica questione è di cosa abbia bisogno questa o quella persona. Io non potevo meritare quello che mia mamma faceva per me quella sera. E dovevo riuscire a capire da dove venissero quei raggi di verità e di Amore che entravano nella mia vita".
- Oggi che vivi in Terra Santa, come vibra in te quell'unico richiamo di salvezza che è Cristo?
"Bisogna dire di sì e portare la propria croce, ripartire dalla gioia di quella voce che dice: "Abbraccia questa realtà e io, Dio, prometto di cambiare tutto come ho già fatto con te". Ciò vuol dire non lasciarmi determinare dai problemi ma partire da un Altro: se uno non fa così è sottoposto a una pressione incredibile. Così è stata la visita del Papa in Terra Santa l'anno scorso: poteva sembrare una resa, invece siamo stati sorpresi tutti dalla gioia".