Famiglia Cristiana n° 11 - marzo 2007
ROMA ESPONE 180 OPERE DI MARC CHAGALL
IL PROFETA DEL COLORE
I suoi angeli, i suoi innamorati, i suoi violinisti fanno parte dell'immaginario collettivo. Perché nessuno meglio di lui seppe raccontare che la vita è un impasto di terra e cielo.
L'arte di Marc Chagall - vicina alla pittura delle icone, alle illustrazioni dei manoscritti miniati, alle stampe popolari russe e all'arte delle grandi vetrate gotiche - occupa un posto importante nell'immaginario mondiale.
Pittore, scenografo, illustratore di libri (la Bibbia ma anche Boccaccio, Gogol', La Fontaine), Chagall ha realizzato opere monumentali come il soffitto dell'Opéra di Parigi, le vetrate della cattedrale di Metz, della sinagoga Hadassah vicino a Gerusalemme e quelle della sede dell'Onu. Il Museo nazionale del messaggio biblico di Nizza è un grande spazio da lui stesso voluto che raccoglie un immenso patrimonio di oltre 400 sue opere. La popolarità di Chagall, dunque, è indiscussa: i suoi angeli, i suoi innamorati che volano sui tetti di Parigi, i suoi violinisti e le sue mucche sono icone di una modernità artistica definibile con un solo aggettivo: chagalliana.
Ma in cosa consiste questa modernità chagalliana? E che cosa ha ancora da dire a noi postmoderni, al nostro incerto e turbato presente? Forse una sola cosa: che la vita è un impasto di terra e di cielo, che non ci sono confini tra queste due realtà e che noi siamo mendicanti d'assoluto nella relatività del tempo, drammaticamente sospesi tra due mondi che ci appartengono entrambi.
Scrive Chagall nella sua autobiografia (Ma vie, 1930), riferendosi ai ricordi d'infanzia di Vitebsk, il paese natale: "Dio, tu che ti celi nelle nuvole, o dietro la casa del calzolaio, fa che la mia anima, anima dolorosa di ragazzo balbuziente, si riveli, mostrami la strada". In questa frase c'è tutto Chagall, artista e uomo, in cui messaggio biblico e quotidianità coincidono: la Bibbia, del resto, non racconta affetti e storie umane? Il pianto di Abramo per la morte di Sara; l'eros degli innamorati del Cantico dei cantici abbracciati nell'aria (sui tetti di Vitebsk, Chagall e sua moglie Bella, morta nel 1944; sui tetti di Parigi ancora Chagall con la seconda moglie Vava, sposata nel 1951). Infine l'agape dei tre angeli seduti alla mensa di Abramo e Sara: la trinità angelica.
Abbiamo citato tre opere delle ben 180 che fanno parte della mostra Chagall delle meraviglie (Roma, Complesso del Vittoriano, 9 marzo - 9 luglio): pastelli, gouache, oli su tela, incisioni e litografie che raccontano l'intero percorso creativo del genio, artista ebreo legato al suo villaggio di Vitebsk, in Bielorussia, e alla comunità ebraica di stretta osservanza (i chassidim) da un forte cordone ombelicale. Se ne staccherà per immergersi nel solco delle avanguardie artistiche parigine (Matisse, Picasso, Van Gogh); tornerà a Vitebsk nel 1914 ma poi ne fuggirà incalzato dai pogrom nel 1938; sarà a Berlino, a Parigi e poi a New York, per sfuggire all'Europa delle leggi razziali.
Chagall se ne va per le strade del mondo come l'ebreo errante dei suoi dipinti, portandosi sulle spalle il sacco che contiene "tutta Israele" e appoggiandosi al bastone della pittura così come il violinista al suo strumento. Eccoli i suoi personaggi emergere dal fondo coloratissimo dei quadri: l'ebreo errante, il violinista, Mosè e Cristo, due ebrei circondati da un popolo in fuga. Tutta la vita dell'uomo è questa domanda di senso e di liberazione che l'artista sente fortemente. Scrive Chagall: "è libero soltanto quel cuore che ha una sua logica e una sua ragione".
La meraviglia che desta la pittura di Chagall non nasce da idee o concetti, ma dalla stessa materia pittorica: il colore e il disegno. Una pittura affabulatrice, che ha l'ironia dei racconti yiddish. E che narra la sua nascita e l'incendio da cui Chagall fu salvato così come Mosè fu salvato dalle acque: "Sono nato morto". E poi si descrive "ragazzo balbuziente", sublimando ancora nell'immagine di Mosè la sua storia personale: il trauma provocatogli dal morso di un cane al labbro. Mosè, il profeta balbuziente che trovò in Aronne il suo portavoce, assomiglia a Chagall che trova nella pittura un meraviglioso strumento di comunicazione.
Una magia fatta di sangue e vino
La meraviglia della sua pittura non è solo nella composizione cubista, di cui pure aveva imparato la lezione da Picasso; e non è neppure nel disegno e nella capacità di raccontare storie che aveva imparato dalle icone, dalle vignette popolari russe (lubok), dai racconti della cultura chassidica. Nasce invece dal colore che fluisce come in un acquario: liquido amniotico e sangue dal coltello del rito ebraico, sangue impuro degli animali che popolano i suoi quadri; impuro per gli ebrei, ma purificato dall'arte. Colore fatto sangue e vino, a inebriare gli sposi nel Cantico dei cantici.
Nei primi due pannelli del trittico Resistenza, Risurrezione e Liberazione l'incendio di Vitebsk, i pogrom e la rivoluzione russa, l'Olocausto e la guerra civile spagnola si confondono nel dramma di un popolo che esplode intorno alla figura centrale di Cristo. Nel terzo pannello - Liberazione -, dal grande cerchio giallorosso esce la sposa dal fluente abito bianco, il violinista verde, la banda dei clown e lui, Chagall, in viola, ritratto due volte: mentre dipinge la sua tela bianca e mentre abbraccia la sposa. "Non abbiamo quaggiù una stabile dimora", è la risposta del Dio ebraico-cristiano. Un'esplosione di immagini è la risposta di Chagall.