I grandi speciali di Famiglia Cristiana - marzo 2013
Un nome, un programma
L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI FRANCESCO
Il santo della povertà, ma anche l’uomo forte che regge la Chiesa: «Solo il tempo svelerà il significato profondo».
Un nome nuovo, un volto inatteso, figlio di un continente mai salito al soglio. Papa Bergoglio ha spiazzato i pronostici dei giornali. Vien da chiedersi se abbia sorpreso altrettanto anche chi, come il professor Franco Cardini, osserva e studia la Chiesa con lo sguardo “lungo” della storia.
– Professore, si aspettava che l’elezione del Papa smentisse le previsioni?
«Dopo la sequenza degli straordinari Pontefici che hanno segnato la vita della Chiesa tra il XX e il XXI secolo (penso anche a Luciani, Papa per un mese soltanto) io, che ho 72 anni e sono nato sotto Pio XII, non mi aspettavo niente di nuovo. Pensavo a un Papa di mediazione, magari l’arcivescovo di Milano o quello di Boston. Ma dalla Sistina è uscito papa Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo primate di Argentina, mentre i cardinali dati come papabili sono usciti dal Conclave cardinali. Lo Spirito soffia dove vuole. Si capirà forse nei prossimi mesi il senso di questa scelta».
– Insomma, è rimasto sorpreso?
«Già il nome Francesco è una scelta straordinaria. Un nome nuovo me lo aspettavo ma non da un ex gesuita che sceglie il nome del poverello d’Assisi. Indubbiamente il nome è un’indicazione programmatica, progettuale. Francesco è l’uomo della pietà, della carità, della povertà e della rinuncia al potere».
– Ma Francesco è anche un uomo forte, un gigante che regge la Chiesa, come lo rappresenta Giotto ad Assisi.
«Ne consegue che la Chiesa va sostenuta, soprattutto nella sua parte più debole, i poveri, gli ultimi, che sono la stragrande maggioranza dell’umanità. Ma san Francesco è anche il fondatore di un Ordine come quello francescano che ha legittimato il prestito a interesse, aprendo la strada alle banche e, quindi, alla modernità. Dunque è lecito domandarsi: quale Francesco, l’uomo della povertà o l’uomo che sostiene con fermezza la Chiesa? Bisogna anche dire che il nome ha un valore solo simbolico, il suo vero significato, per il futuro del pontificato, si scoprirà nel tempo».
– In un episodio citato nella biografia di san Francesco il Crocifisso così gli parla: Francesco, va’ e ripara la mia Chiesa che, come vedi, è tutta in rovina.
«Parlando dei vizi che deturpano il volto della Chiesa Benedetto XVI non usò mezze misure. Occorre un rinnovamento, una nuova Pentecoste, dobbiamo metterci su una strada di conversione comunitaria. Il Papa emerito Joseph Ratzinger ha fatto il suo esame di coscienza. Papa Francesco alla folla radunata in San Pietro ha fatto un discorso di apertura molto umano, la richiesta di preghiera per aiutarlo a iniziare bene il ministero petrino dice la consapevolezza che il momento è difficile e lui si regolerà di conseguenza».
– Come vede il quadro geopolitico in cui si inserisce il nuovo pontificato.
«Innanzitutto l’Argentina e tutto il continente sudamericano profondo sono molto cattolici. Il ceto medio e le aristocrazie terriere sono invece anticlericali. Ma c’è anche l’America latina delle sette protestanti, che hanno portato via un quarto di fedeli alla Chiesa e rappresentano un attacco potentemente finanziato e appoggiato dalle multinazionali. Un Papa argentino può favorire un ritorno dei cattolici alla Chiesa di Roma, difendendo il popolo latinoamericano da un attacco che approfitta delle condizioni di povertà e ignoranza».
– Porterà anche una ventata di novità da un popolo giovane?
«Esaurita la riserva di vocazioni dalla Polonia, il cattolicesimo ha due risorse: l’Africa centrale e l’America latina che oggi con papa Francesco vede riconosciuta l’importanza del suo ruolo. Per l’Africa centrale e per la Cina, Paese in cui il cattolicesimo è in netta minoranza e avversato, ci vorrà ancora tempo. L’attesa sarà lunga, forse per il prossimo papato.