Famiglia Cristiana n° 13 - marzo 2013

IL CAMMINO DI PIETRO

Roma, Castel sant’Angelo, aperta fino al 1 maggio

LO STUPORE DI FRONTE AL MIRACOLO

Gesù risuscita la figlia di Giairo

Siamo nella penombra della casa del capo della sinagoga, Giairo, che appare a sinistra. Gesù ha preso con sé Pietro (che vediamo dietro Giairo con la mano appoggiata al muro),e gli altri due discepoli Giacomo (accanto a Pietro) e Giovanni, l’ultimo a sinistra, il più giovane. Bellissime sono le parole che Gesù rivolge alla fanciulla morta: «Talità kum» (fanciulla, io ti dico alzati). La dodicenne alza lo sguardo verso Gesù, mentre ai piedi del letto la madre si protende in avanti e dietro a lei il marito apre le braccia stupito. È lui che ha chiamato Gesù, chiedendogli di imporre le mani alla figlioletta morente e non fermandosi davanti a chi gli diceva: «Tua figlia è morta, perché disturbi ancora il maestro?». Il pittore russo Vasily Polenov descrive le reazioni dei presenti. La testa di Pietro fa capolino da dietro il muro: la sua mano sembra proseguire in quella di Gesù. È lui l’uomo della fede rocciosa. La sua forza di umile pescatore si esprime nel suo appoggiarsi al muro con forza: quella mano esprime concretezza, senso pratico, l’impeto di voler cambiare le cose. L’impulsivo predicatore di Galilea che Gesù stabilirà a capo della sua Chiesa viene fuori già qui: Pietro posa la sua vigorosa mano tra le pietre che sporgono dal muro sconnesso della casa del fariseo. Due fonti luminose si incontrano e scandiscono i profili dei presenti: la luce che viene dalla porta aperta e che disegna il profilo di Giovanni e la luce che si diffonde dal corpo disteso della fanciulla risuscitata da Gesù.

Gesù risuscita la figlia di Giairo
Vasily Polenov, 1871 circa (San Pietroburgo, Accademia russa di Belle arti).

SUL MONTE INSIEME A GESÙ

Trasfigurazione Scuola di Novgorod

Gesù prende con sé i suoi discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni e sale sul monte Tabor dove si trasfigura tra Elia e Mosè, i due grandi profeti e legislatori dell’Antico Testamento. La montagna
è il luogo del contatto con Dio, il monte Sinai per Mosè, il monte Carmelo per Elia. Il Tabor per Gesù. La scena si divide in tre tempi: la salita, la trasfigurazione e la discesa. Nella salita Pietro è il primo dopo Gesù, nella discesa è l’ultimo che, sospinto da Gesù, non vorrebbe più andare via. La luce che emana da Cristo, le cui vesti risplendono più della neve, sconvolge gli uomini e la natura: le cime delle montagne tremano come per un terremoto; gli apostoli Giacomo e Giovanni (quest’ultimo distinguibile per il manto rosso) cadono travolti dall’intensità della visione. Solo il roccioso Pietro (il nome significa roccia) osa alzare lo sguardo e dire a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia».

Trasfigurazione Scuola di Novgorod,
XV secolo (Mosca, Galleria Tret’jakov).

L'AMORE È PIÙ FORTE DEL TRADIMENTO

Le lacrime di Pietro

Gli occhi di Pietro sono gonfi di lacrime che sgorgano abbondanti e rivelano la sincerità del suo pentimento. Ha appena tradito Cristo per tre volte ma in lui, rispetto a Giuda che si autocondanna, prevale l’amore per Gesù e la certezza della sua misericordia. Nella sottile, realistica interpretazione di Guercino, Pietro soppesa con la mano destra le chiavi e con la sinistra il fazzoletto imbevuto di lacrime. Cosa pesa di più: la coscienza del proprio limite o l’amore e la fedeltà a Cristo? La bilancia pesa a favore delle chiavi. Fedeltà e amore a Cristo riscattano Pietro che alza lo sguardo a ricevere la luce dall'alto. Quella luce lo sorprende, lo tira fuori da sé stesso, dalla disperazione, lo converte, cambia la direzione del suo sguardo.

Le lacrime di Pietro
Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino,
1650 circa. Bologna, Collezione d’arte e di storia della Fondazione cassa di risparmio in Bologna.

LA CORSA CON GIOVANNI VERSO IL SEPOLCRO

Pietro e Giovanni corrono al sepolcro all’alba

Si tratta di una delle immagini più amate della pittura religiosa moderna per l’estremo realismo con cui sono rappresentati i due discepoli. Cosa hanno negli occhi Pietro e Giovanni, cosa trasfigura così il loro sguardo? È la mattina di Pasqua e i due stanno correndo verso il sepolcro di Cristo, che troveranno vuoto. Pietro, più anziano, ha il fiatone e Giovanni, più giovane, arriverà primo al sepolcro, ma per entrare attenderà Pietro, che diventa così il primo testimone della Risurrezione di Cristo. Burnard si dedicò a ricostruire storicamente e con fedeltà al racconto alcuni fatti narrati dalle Scritture. L’artista però non è un freddo descrittore e rivendica il fatto che nel narrare gli eventi non bisogna perdere di vista la visione superiore di quanto accade. Interessante è il taglio prospettico: il sepolcro si trova fuori dal campo visivo dei discepoli e noi, attraverso i loro occhi, guardiamo il mistero che nei loro sguardi si riflette. La vibrante luce mattutina si diffonde in un cielo increspato da qualche nube. Gli sguardi di Pietro e Paolo sono fissi nello stesso punto. Giovanni è tutto compreso in ciò che accade. Pietro invece è attratto e respinto, impaurito, turbato e commosso.

Pietro e Giovanni corrono al sepolcro all’alba
Eugène Burnard, 1898. (Parigi, Musée d'Orsay).

UNA LUCE DALL'ALTO LIBERA L'APOSTOLO

L’angelo libera Pietro dal carcere

Una luce caravaggesca irrompe nella stanza dove Pietro è incarcerato, disegna il suo volto, le mani, la fronte aggrottata da mille pensieri. La maniglia a cui si aggrappa l’angelo venuto a liberare l’apostolo proietta un’ombra che sottolinea il movimento diagonale di luci e ombre che, partendo dall’angelo, investe Pietro, lo strappa dalle sue riflessioni e rivela anche la sua iniziale paura di fronte alla visione celeste.

L’angelo libera Pietro dal carcere
Gerrit van Honthorst, 1630 circa.(Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie).

L'ABBRACCIO DEI FONDATORI

San Paolo e San Pietro. L’amore fraterno

L’iconografia dell’abbraccio tra Pietro e Paolo è antichissima e comprare già in un avorio del VI secolo e poi nei mosaici di Monreale. L’immagine segna la grande unità che la Chiesa dei primi secoli vive intorno alle figure di questi due grandi fondatori del cristianesimo che si confrontarono, a volte anche duramente, nel primo Concilio di Gerusalemme per le loro diverse opinioni, ma che alla fine raggiunsero quell’unità nella carità che questa icona esprime così bene. I manti svolazzanti esprimono l’impeto dello Spirito che li unisce, le braccia dell’uno circondano le spalle dell’altro e viceversa, le guance si uniscono nel bacio santo, le espressioni del volto e degli occhi riflettono una perfetta comunione d’intenti in Cristo. L’iconografia di Pietro e Paolo riflette i modelli antichi: Pietro ha capelli e barba corti, bianchi e arricciati; Paolo è stempiato e ha barba e capelli più lunghi e lisci. Lo sfondo indica le tre dimensioni in cui gli apostoli vivono: i piedi nel buio del mondo, il corpo nel tempio, la testa in Dio.

San Paolo e San Pietro. L’amore fraterno
Cerchia moscovita dei maestri di icone del Monte Athos, prima metà del XVI secolo (Mosca, Galleria Tret’jakov).

LE CHIAVI DELLA CHIESA

San Pietro in cattedra e quattro santi

Un visione chiara e serena del primato di san Pietro. La scena è inquadrata da una bianca volta rinascimentale che la illumina, dandole profondità e dimensione prospettica. L’artista, di probabile origine albanese, mette in relazione coloristica e luminosa l’immagine di Pietro in cattedra (con la tiara d’oro, il manto azzurro e la veste bianca bordata di porpora) con il paesaggio dei colli veneti di fondo che sfuma dall’orizzonte, rischiarato da una luce chiara, e salendo incontra cumuli bigi di cirri e una festosa nube biancheggiante. San Pietro nella sinistra regge le chiavi e con la destra benedice i quattro santi che fanno da quinta prospettica. I gradini del trono brillano di marmi colorati che, come ideale proseguimento del pavimento a scacchi, salgono in successione cromatica e richiamano il fondo marmorizzato della cattedra. Da sinistra, i santi Andrea, Nicola di Bari, Giacomo maggiore e Antonio abate.

San Pietro in cattedra e quattro santi
Marco Basaiti, fine del secondo decennio del XVI secolo (Venezia, San Pietro di Castello).