Famiglia Cristiana n° 13 - marzo 2013

Tiziano, l’artista che dava l’immortalità

Per capire la pittura di Tiziano Vecellio, di cui sono in mostra a Roma 40 capolavori, si può partire dalla Deposizione del Prado (Madrid). Dopo essere diventato artista ufficiale della Serenissima infatti il grande artista cadorino, nato a Pieve tra il 1480 e il 1485, era stato chiamato come “primo pittore” in Spagna alla corte dell’imperatore Carlo V. In questa tela, che rappresenta il seppellimento di Cristo, Tiziano utilizza, nella loro massima saturazione, i tre colori primari, il rosso, il giallo e il blu, rispettivamente per Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea e Maria. Il corpo di Gesù, invece, irraggia un luminosissimo incarnato a contatto con il sudario, bianco come la neve e come le vesti dell’Angelo.
È qui il segreto di Tiziano: rosso, blu e giallo cromo, i colori primari. E il bianco, la sintesi. In questa semplicità si rivela la modernità di un artista che ha dominato il Cinquecento e anticipato di tre secoli gli impressionisti, dipingendo direttamente con il colore e liberando i contorni delle figure. Tiziano fu allievo di Giorgione, ebbe come competitori Bellini, Sebastiano del Piombo e Lotto e come seguaci Rubens e Velasquez. Nella sua pittura tutto vibra e si sfalda in una luce alta e naturale; alla fine Tiziano, ormai vecchio (morì forse 93enne), saturo di quella luce, saprà tirarla fuori anche dalle ombre. Lo vediamo nel suo Autoritratto: la materia pittorica è povera, scarna di luce e colore; eppure vivissima nel rimandarci lo sguardo del pittore che penetra la realtà con i suoi profondi occhi neri.
Qualche anno prima, a Venezia, nell’Annunciazione, dipinta per la Scuola grande di san Rocco, Tiziano mostra una grande semplicità cromatica giocando con il rosso acceso dell’angelo che plana davanti a un Vergine ammantata di nero e da cui affiora, luminosissimo, il volto e le mani; tra angelo e donna un panno rosso bruno appoggiato a una balaustra segna la distanza tra umano e divino, mentre un raggio obliquo di luce trapassata i due mondi. Fede e realtà, natura e visione si pongono in soluzione di continuità assoluta come in Raffaello e in Giotto, rinnovando il miracolo della pittura italiana: ciò che è sacro è naturale, fa parte della vita.
Essere ritratti da Tiziano significava, nel Cinquecento, entrare nell’immortalità: così il cardinale umanista Pietro Bembo, il doge Francesco Venier, il banchiere Anton Fugger; così il pontefice Paolo III Farnese e l’imperatore Carlo V. Ma è soprattutto la bellezza femminile che fa cantare Tiziano: Flora, dai capelli rosso miele che scivolano trasparenti sull’incarnato latteo, le vesti morbide e sfarzose, le mani raccolte su fiori e panneggi.
A Roma Tiziano contrappone al disegno di Michelangelo il soffio del colore veneziano. Come scrive Venturi, in lui il colore “perduta l’antica compattezza, brilla attraverso il velo di un’atmosfera satura d’oro”. Atmosfera, fiato, magia di una Venezia che langue e muore. Tiziano accosta a Flora la penitente Maddalena, in cui l’ambra dei capelli fiammeggianti avviluppa il corpo, sublimando la carne. Lezione ripresa nel Seicento da Rubens. Tiziano intanto scava nell’ombra, scarnifica le forme, trae dal buio l’aurea preziosità dei suoi toni: così nello Scorticamento di Marsia e nel Martirio di san Lorenzo la pennellata si sfalda, modernissima, trovando nel colore le sue stesse ragioni di esistere.

Tiziano
Scuderie del Quirinale
5 marzo – 16 giugno
catalogo Silvana Editoriale
Tel. 06 39967500
http://www.scuderiequirinale.it