Famiglia Cristiana n° 30 - luglio 2007
GUIDA ALPINA DA 40 ANNI, SI "ALLENA" COME DISGAGGISTA SU CIMINIERE E GRATTACIELI
NONNO GRAZIANO UNA VITA IN SALITA
Ha girato il mondo e aperto nuove vie. 43 anni di matrimonio, due figli e quattro nipoti. L'amicizia con Ambrogio Fogar.
La voce di Graziano Bianchi ci arriva calda e familiare dalla sommità della Torre Velasca: appeso a una fune, quest'uomo di settant'anni ("ma ho ancora la testa di un ragazzino") parla con noi tranquillamente al cellulare mentre sta effettuando carotaggi sulla parete a strapiombo del grattacielo di 26 piani che domina, col suo profilo a fungo, i tetti di Milano. In cima, il massiccio di cemento e vetro si allarga, tra il diciottesimo e il diciannovesimo piano, proponendo un "passaggio" difficoltoso. Ma Graziano, che da 40 anni è guida alpina internazionale e ha passato una vita in parete ("oltre 100 bivacchi"), lassù è nel suo elemento naturale: l'aria.
E sbuca all'improvviso e puntuale a mezzogiorno ("faccio una pausa con un toast") tra i tavolini del bar, ai piedi della Torre Velasca, dove ci ha dato appuntamento. La giornata di luglio è limpidissima, il cielo azzurro come quello dei cieli lombardi manzoniani, così azzurri da farci amare questa terra e le sue montagne (il Duomo, con le sue bianche guglie, oggi non sembra il Resegone o le Grigne?). Anche il volto di Graziano sprizza energia senza ombre, come questo sole estivo allo zenit. Energia e ottimismo. E immaginiamo le infinite volte in cui questi occhi che ci stanno davanti hanno visto sorgere e tramontare il sole da tende e amache appese sulle verticali degli abissi. Quelli veri, però.
"Mi diverto a fare il funambolo"
Paura? "Neanche un po'. Sulla Torre Velasca non ci sono le incertezze della montagna, cadute di sassi o valanghe. Però mai allentare la guardia". Sorride. "Vengo qui per fare il mio lavoro di disgaggista per la ditta Engeco. Di solito si lavora in alta montagna per fissare reti paramassi e paravalanghe. A volte però capita di fare controlli e interventi su strutture urbane o industriali. Come la Torre Branca del Parco Sempione che abbiamo riverniciato: una faticaccia, soprattutto per via della vernice. Oppure camini di fabbriche e cementifici come quello di Merone, in Brianza, a pochi chilometri da casa mia: tre camini che ho collegato in orizzontale per non continuare a scendere e salire. Così arrotondo la pensione, faccio un po' il funambolo e un po' il "bauscia", mi diverto e intanto mi tengo allenato per nuove escursioni. A settembre accompagno mio figlio Rudi sull'Aconcagua, 6.900 metri, la cima più alta del Sudamerica. Dopo l'operazione al menisco, però, devo stare un po' attento perché ho qualche problemino in discesa".
Graziano Bianchi, che ha fatto trekking e spedizioni in tutto il mondo, ha al suo attivo, solo in Perú, una ventina di cime e due nuove vie: il Puscanturpa (5.600) nella Cordigliera Huayuash e il Nevado Innominado (ancora un 5.600) nella Cordigliera Bianca, che ha dedicato alla sua città di Erba, dove vive con la moglie Luisa, i due figli Rudi e Ombretta e quattro nipotini che adora. La prima foto che ci mostra è la loro. "Franco di 11 anni, Asia di 6, Riccardo e Matteo di 8: quattro camosci!".
Graziano, naturalmente, ha coinvolto la famiglia, genero compreso, nella sua passione per la montagna. "In viaggio di nozze a Cervina, 43 anni fa, avevo coperto con il cellophane le scarpe di mia moglie per portarla sul Braiton. E nel 1972 feci passare Natale e Capodanno a Luisa e ai bambini in un rifugio, con il cannocchiale fisso: nove giorni in parete per aprire una nuova invernale sul Cavalcorto, nel gruppo del Pizzo Badile. Al Buco del Piombo, una grotta sopra Erba, ho percorso in tre giorni tutta la volta, chiodando sul soffitto mentre mia moglie, di sotto, mi passava pranzo e cena con un cordino di 120 metri!".
In montagna non basta l'esperienza
Per Graziano Bianchi il lavoro - prima di fabbro alla ditta Ciceri ("mi hanno sempre dato i permessi per le spedizioni") e poi, dal 1991 a oggi, per la Engeco - è sempre stato in funzione dell'andare in montagna. "Con Agostino Da Polenza nel 1980 sono caduto in un crepaccio del Lhotse, in Himalaya. Ho inciampato nelle ghette e sono caduto 15 metri a testa in giù; poi lo zaino mi ha fermato. Era il giorno di san Biagio e mia mamma ha detto che sono state le sue preghiere. Mi è sempre andata bene, ma ho visto tanta gente cadere, tanti amici, anche molto bravi, morire. Io sono stato solo fortunato. In montagna gli sbagli li fanno tutti. E poi c'è sempre qualcuno che prega per te".
Un ricordo di Ambrogio Fogar? "Ho conosciuto Ambrogio alla capanna Gnifetti nel 1980, due anni dopo il naufragio. Lo porto sul Cervino, diventiamo amici e insieme facciamo il Monte Bianco, il Rosa, il Kenya e il Kilimangiaro. A braccio di ferro mi vinceva sempre, ma in montagna lo pettinavo per bene! Era sempre una gara a chi arrivava primo. A Bognanco, sul Pizzo Fornalino, avevamo aperto insieme una nuova via dedicata a sua figlia Margherita e il prossimo 19 agosto inauguriamo un bivacco dedicato a Fogar".
Ci raggiunge al tavolino del bar l'aiutante di Graziano, Fabrizio Casartelli, trentunenne, che da nove anni fa il mestiere di disgaggista. "Mi piace lavorare all'aria aperta, alla luce del sole. Prima facevo l'incisore e passavo tutto il giorno in camera oscura. Ho seguito vari corsi per lavorare con le funi su roccia e anche di soccorso alpino: so imbragare una persona in parete e portarla giù. A Morgex, in Valle d'Aosta, a 3.200 metri, il cantiere per installare le reti antivalanghe è durato sei anni. Si lavorava solo nei mesi estivi con turni di 11 giorni e pause di 3. Soprattutto mi piace questo lavoro perché c'è sempre qualcosa di nuovo da imparare".
Fabrizio, come Graziano, sorride e non ha paura. "Anche se non si è ancora deciso a scendere a penzoloni a corda doppia nel vuoto, quando il vento può farti girare su te stesso", interviene Graziano. Con l'aria di chi invece si diverte già solo al pensiero.