Famiglia Cristiana n° 36 - settembre 2009
ADRIANO MàDARO ORGANIZZA A TREVISO UNA SERIE DI MOSTRE SULL'ESTREMO ORIENTE
IL RAGAZZO CHE SOGNAVA LA CINA
L'incredibile storia di Adriano Màdaro, unico italiano membro dell'Accademia cinese di cultura internazionale e della sua grande amicizia con il poeta Armand Su.
Se la vita è la realizzazione del sogno della giovinezza, questo sogno Adriano Màdaro l'ha realizzato appieno. Ragazzo della classe 1942 nativo di Oderzo, nel Trevigiano, negli anni Cinquanta sognava di percorrere la via delle Indie disegnando cartine e componendo fantastici reportage con i ritagli di giornale. Il suo sogno incominciò a prendere corpo nel 1966 quando, studente universitario, scrisse all'armatore napoletano Achille Lauro chiedendogli un posto su una delle sue navi mercantili in viaggio per le Indie: attraverso il Canale di Suez e l'Oceano Indiano raggiunse i Paesi dell'Estremo Oriente e fu tra i primi occidentali a superare la "cortina di bambù" ed entrare nella Cina di Mao dove realizzò il suo primo reportage.
Oggi il professor Màdaro è un esperto sinologo e fa parte a vita, unico membro occidentale, del ristretto Consiglio dei cinque, il direttivo dell'Accademia cinese di cultura internazionale. Niente di più naturale dunque che la sua Treviso gli abbia affidato l'organizzazione di una serie di mostre che raccontano, attraverso reperti archeologici eccezionali (alcuni mai usciti dalla Cina), la storia delle antiche dinastie, dalla nascita del Celeste Impero al crollo della dinastia Tang (Casa dei Carraresi, 2005-2006) fino all'invasione mongola di Gengis Khan (2007-2008). Quest'anno sarà la volta di "I segreti della Città proibita. Matteo Ricci alla corte dei Ming" (24 ottobre 2009 - 9 maggio 2010).
- Professor Màdaro, Casa dei Carraresi in questi anni è stata per migliaia di visitatori la casa degli impressionisti. Oggi, con questa nuova serie di mostre, diventa in qualche modo la casa dell'Estremo Oriente…
"Dal 2005 il presidente della fondazione Cassamarca, Dino De Poli, dopo l'esperienza dell'impressionismo che ha rilanciato la città di Treviso, ha deciso di voltare pagina e di mettere insieme il suo interesse per la cultura globale e la mia passione, accumulata in oltre 40 anni e più di 160 viaggi in Oriente. Se faccio i conti, mettendo insieme i vari periodi, ho trascorso più di otto anni della mia vita in Cina. A Treviso per la prima volta presentiamo oggetti estratti da una tomba imperiale: due corone regali, gli abiti, l'oro e le giade; in tutto circa 350 reperti, di cui gran parte mai esposti neppure in Cina".
- Come ha fatto a mettere insieme un materiale così inedito e prezioso?
"Grazie agli archivi che l'Accademia cinese mi ha messo a disposizione".
- Come ha conquistato la fiducia delle autorità cinesi?
"Ho una buona credibilità anche grazie alle mie numerose pubblicazioni, mostre e convegni. Ho presentato all'Accademia un progetto convincente e un investimento assicurativo dai cui proventi possono finanziare nuovi scavi archeologici; la direzione nazionale dei musei ha definito questa iniziativa "la più grande finestra sulla cultura cinese mai aperta finora in Occidente"".
- Perché ancora oggi in Cina i diritti civili e la libertà religiosa sono negati?
"Alla cultura cinese mancano duemila anni di cristianesimo. In Occidente abbiamo un grande vantaggio, l'essere figli di Dio salva ciascun singolo individuo e garantisce il rispetto di ogni persona umana. In Cina dopo 2.500 anni di confucianesimo l'individuo è considerato solo capace di egoismo e il popolo deve essere governato da un imperatore che emani buone leggi e le faccia rispettare. In questo senso, Mao Tse-tung può essere considerato l'ultimo grande imperatore che aveva una visione del popolo come massa in cui l'individuo è solo un pericolo. Così il missionario che predica rappresenta un pericolo per la nazione cinese. Invece, lo ripeto, la Cina ha bisogno di conoscere il cristianesimo e mi auguro che progrediscano le relazioni diplomatiche con la Santa Sede".
- Come concilia la sua identità cristiana e occidentale con il fatto di essere membro a vita dell'Accademia cinese di cultura?
"Mi considero un elemento di confronto critico. Dopo aver pubblicato in Cina un libro sulla mia versione della rivolta dei Boxer del 1900 un giornale cinese è uscito con il titolo "Un italiano riscrive la storia della Cina" e le autorità si sono rivelate molto interessate ai fatti che documentavo, anche se così diversi dalla loro versione ufficiale. Nel 2003, all'inizio dell'epidemia di Sars, mi sono precipitato in Cina per capire realmente cosa stesse succedendo e convincere i giornalisti cinesi a superare l'autocensura a cui erano abituati".
- Sull'asse Treviso-Pechino è una missione anche la sua, dunque?
"Sì, perché i miei princìpi etici nascono da un fondamento religioso; su questo sono fermo e nonostante sia portato a immedesimarmi con le ragioni del popolo cinese non posso confondermi con la loro mentalità; e, pur cercando di capirli e di smussare gli angoli, desidero che la Cina apprezzi e si avvicini alla nostra civiltà spirituale".
- Un po' come il gesuita Matteo Ricci a cui sarà dedicata la mostra di Treviso…
"Condivido pienamente il suo pensiero: i cinesi sono un popolo che va conosciuto, condiviso, studiato; dobbiamo portare loro il meglio della nostra civiltà e i cinesi devono essere messi in grado di apprezzarla da soli. Deve stabilirsi un rapporto di amicizia, di confidenza, di fiducia; non possiamo giudicare un popolo che ha vissuto per tremila anni una civiltà alternativa alla nostra. Matteo Ricci (1552-1610) studiò la lingua e i costumi locali, accettò il culto degli antenati, acquistò fama di saggio e conquistò i cinesi con la cultura, la scienza e la matematica. Poi parlò di Gesù, mostrando come dal cristianesimo venga la nostra superiorità scientifica. In mostra saranno presenti documenti autografi di Ricci provenienti da Macerata, sua città natale".
- L'amicizia dunque come parola chiave. E, un po' come nelle scatole cinesi, una storia nella storia è anche quella della sua grande amicizia con il poeta cinese Armand Su. Una vicenda che l'ha resa così popolare in Cina da averla trasformata nel protagonista di un fumetto e di una serie televisiva. Professore, ce la vuole raccontare?
"Nel 1960, quando avevo 22 anni, scrissi alla rivista polacca Radar perché mi mettesse in contatto con un ragazzo cinese. Rispose al mio appello un giovane poeta che conosceva ben 23 lingue tra cui l'italiano; le nostre lettere si incrociarono in volo ogni mese per nove anni senza che ci fossimo mai incontrati, superando la censura. Armand Su mi descriveva la rivoluzione culturale, le guardie rosse che bruciavano i suoi libri e gli scritti; poi, dal 1969 il silenzio, finché nel 1979 arrivò finalmente una sua lettera in cui mi comunicava che, dopo undici anni di prigionia, era stato dichiarato innocente e liberato; due mesi dopo ero in Cina per incontrarlo e da allora la nostra amicizia è continuata anche tra le rispettive famiglie. Alla morte prematura di Armand, avvenuta nel 1990, ho pubblicato le sue poesie in due volumetti, tra cui questa del 1963, brevissima e dal sapore profetico sulla rivoluzione: "Dormivo di primavera senza sapere dell'aurora / Nella notte piovve e soffiò il vento / Quanti fiori caddero nessuno poté sapere"".