Famiglia Cristiana n° 39 - settembre 2006
PADOVA VERONA E MANTOVA...
IN VIAGGIO CON MANTEGNA
Grand Tour alla scoperta dei luoghi e delle opere di un grande artista che ha fuso i valori dell'arte toscana rinascimentale con il realismo della cultura lombardo-veneta.
Padova, anno 1448. Chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari, parete sud: un nugolo di frecce scocca verso il gigante buono san Cristoforo, ma i dardi mortali vengono miracolosamente deviati a mezz'aria; una freccia vagante colpisce il re che ha ordinato l'esecuzione (il particolare è agghiacciante nel suo crudo realismo).
Nella stessa scena, divisa da una finta colonna, i soldati trascinano via il gigantesco corpo del santo che è stato appena decapitato.
Su e giù per quei ponteggi si affanna un ragazzo poco più che diciassettenne e che - in naturale concorrenza con altri giovani artisti - nel tempo emergerà come il geniale regista e scenografo del ciclo di affreschi della cappella Ovetari che, terminata nel 1457, con i suoi affreschi con Storie di san Giacomo e san Cristoforo fa rivivere il culto dell'antichità classica (il palazzo del re è decorato con fregi di sarcofago romano) e rappresenta nella storia dell'arte il primo manifesto del Rinascimento padovano.
Il nome di quel promettente ragazzo è Andrea Mantegna, nato nel 1431 a Isola di Carturo, tra Vicenza e Padova; ma che già a 11 anni era corso a Padova per imparare il mestiere di pittore nella bottega di Francesco Squarcione, un padre-padrone non particolarmente geniale né amato da Andrea (che nell'affresco del martirio di san Cristoforo lo ritrae tra gli arcieri). Ma dove ha imparato allora il giovane Mantegna a dipingere in questo modo, a dare alla superficie del muro l'illusione del rilievo marmoreo, quasi che il suo pennello fosse uno scalpello? Dove ha imparato a creare questi suggestivi spazi prospettici al cui centro sta sempre lo spettatore, da qualsiasi parte si giri? Dove ha imparato il movimento dei corpi, classico eppure così naturale? La riposta è una sola: da Donatello, che in quegli stessi anni è a Padova per realizzare i rilievi dell'altare maggiore della basilica di sant'Antonio e la statua equestre del Gattamelata.
Prima tappa: la cappella Ovetari
Cinquecento anni sono passati oggi dalla morte del Mantegna (11 marzo 1506) e per celebrare questa importante ricorrenza le tre città in cui l'artista è vissuto - Padova, Verona e Mantova - gli dedicano in contemporanea tre grandi mostre (16 settembre-14 gennaio, cataloghi Skira e Marsilio), presentando così in ordine cronologico le opere e i luoghi della sua vita artistica. è l'occasione per un fine settimana culturale, un viaggio nel tempo e nello spazio per conoscere "dal vivo" uno dei grandi geni del rinascimento italiano.
Il tour artistico mantegnesco deve partire dunque e necessariamente proprio da qui, dalla cappella Ovetari, riaperta per l'occasione al pubblico. Uno spettacolare restauro ce l'ha restituita: è stato miracolosamente ricomposto un suggestivo puzzle di oltre 80.000 frammenti tra quelli recuperati dopo il crollo sotto i bombardamenti alleati del 1944. Schegge di colore impossibili da ricollocare che, invece, selezionate al computer per forma e tono, sono state ridistribuite e posizionate al loro posto sulle gigantografie in bianco e nero degli affreschi fotografati negli anni '20 dai fratelli Alinari. Così le foto a grandezza naturale, proiettate sulle pareti, riescono a darci un'idea di quello che doveva essere la cappella affrescata dal giovane Mantegna. Con la tecnica del rigatino (usata anche nell'Ultima cena), il colore mancante sulla foto viene completato con sottili tratti dello stesso colore sottotono, così che l'occhio per sintesi completa le parti mancanti.
Dalla cappella Ovetari il nostro tour prosegue nell'attiguo museo degli Eremitani dove la mostra Mantegna a Padova 1445-1460 ci presenta, a confronto, le opere dell'artista e dei suoi contemporanei. Ecco, dunque, i rilievi dell'altare di Donatello che colpirono il giovane Mantegna. Ecco le opere dei veneziani Jacopo e Giovanni Bellini, padre e figlio, con cui Mantegna avrà in comune il tema della Pietà; sposerà addirittura la figlia di Jacopo Bellini, Nicolosia, nel 1453, divenendo così cognato del grande Giovanni Bellini e godendo della compagnia di una donna nata e vissuta da sempre in una famiglia di artisti.
Delle circa 80 opere esposte a Padova dieci sono di Mantegna, tra cui un realistico ritratto di San Bernardino da Siena, un San Marco pieno di stupore affacciato alla finestra, un elegante San Giorgio a figura intera e due Madonne con Bambino provenienti da Berlino e New York. Troviamo inoltre opere di Giorgio Schiavone, una bellissima Trasfigurazione di Giovanni Bellini (Venezia, Museo Correr), tele di Francesco Schiavone, manoscritti e disegni di Antonio Pollaiolo, Albert Durer e dello stesso Mantegna.
Seconda tappa: pala di san Zeno.
Verona, anno 1459. Mantegna consegna di persona al suo committente, l'abate Gregorio Correr, la grande pala per l'altare maggiore della chiesa di San Zeno, e perché l'opera abbia un'adeguata illuminazione addirittura fa aprire una finestra nel fianco destro del presbiterio. L'impatto mediatico della pala è straordinario: il trittico sembra evocare un grande loggiato, formato da quattro colonne reali di legno intagliato dorato, che continuano nell'illusoria balaustra dipinta alle spalle dei santi, affacciati in primo piano e sorpresi in un sacra conversazione. Ghirlande di fiori e frutti dai vivacissimi colori gareggiano con i fregi marmorei del quadriportico. Arte e natura qui si confrontano senza prevalere l'una sull'altra.
Al centro della pala di San Zeno c'è la Vergine con il Bambino e angeli, ai lati apostoli e santi in una gerarchia prospettica che rompe con la fissità iconica delle tradizionali pale d'altare. Bellissimo il dialogo silenzioso, fatto di sguardi, tra Pietro, Paolo e chi guarda; in basso, nella predella al centro, la Crocifissione del Louvre, mentre l'Orazione nell'orto e la Risurrezione non sono state prestate dal museo di Tours, dove si trovano. La grande pala di san Zeno è esposta nel palazzo della Gran Guardia (davanti all'Arena) alla mostra Mantegna e le Arti a Verona 1450-1500 che comprende ben 211 opere con prestiti da oltre 100 musei. Sedici sono i capolavori di Mantegna tra cui la Pala Trivulzio di Brera, Gesù benedicente di Washington e il San Sebastiano di Vienna.
Terza tappa: la corte dei Gonzaga.
Anno 1460. Mantova. Palazzo Ducale, torre del castello di san Giorgio, Camera degli Sposi. In una fantastica scenografia di finti archi marmorei, fregi, ghirlande e putti alati ecco il ritratto di famiglia dei Gonzaga: Ludovico siede con la teutonica moglie Barbara e i figli Francesco, Gianfrancesco, Rodolfo, Sigismondo, Barbara e Paola. Ludovico gira la testa per ascoltare il suo segretario dal naso adunco e dal fare ossequioso; la figlia più piccola, Paola, appoggiata alle ginocchia della madre gioca con una mela. In basso a destra è ritratta una donna nana: i nani erano di casa alla corte dei Gonzaga e potrete visitare a Palazzo Ducale il loro mini-appartamento.
Sull'altro lato della parete, Mantegna rappresenta Ludovico Gonzaga che riceve orgoglioso la vista del figlio Francesco appena nominato cardinale. L'artista emargina dietro di lui presenze illustri anche sul piano internazionale, dal marchese Francesco II che sposerà Isabella d'Este all'imperatore Federico III e al re Cristiano di Danimarca, marito della sorella della marchesa Barbara di Brandeburgo. Sui ponteggi della Camera Picta (cioè la Camera degli Sposi) Andrea Mantegna è diventato Andrea Mant. e si firmerà d'ora in poi così, confondendo le prime lettere del proprio cognome con quelle della città dove passerà, negli agi offertigli dal duca, tutta la sua vita.
Nello spazio cubico della Camera degli Sposi Mantegna, con un colpo di genio, apre nel soffitto il trompe-l'oeil di una balustra circolare, a sua volta aperta su un cielo azzurrissimo, che dà respiro e dove, tra scorci di pavoni e irriverenti putti dalle posticce ali di farfalla, si affacciano freschi volti femminili, raffinate o semplici acconciature rinascimentali di nobili e domestiche e una schiava mora dal copricapo a strisce. Nel cielo veleggia una nuvola bianca e una tinozza-vaso di limoni si ritaglia in controluce, in bilico. Anche qui lo spettatore è tirato in scena da quegli sguardi in uno scambio tra realtà e finzione.
Mantegna si rivela qui, nella Camera Picta, moderno e abilissimo nel mescolare adulazione e ironia, culto dell'antichità classica e realismo e non trascurando nessun aspetto della realtà. E dal Palazzo Ducale di Mantova ci muoviamo ora verso le Fruttiere di Palazzo Te, verso le ultime e più sublimi opere di Mantegna: 26 capolavori alla mostra Mantegna a Mantova 1460-1506.
Ci soffermiamo sulla Madonna delle cave (Uffizi) dove le rocce basaltiche che rappresentano il Golgota potrebbero essere quelle del monte Bolca, un'altura tra Verona eVicenza; poi uno sguardo alla pensosa Madonna col Bambino e cherubini di Brera.
Il Cristo redentore, dipinto dal Mantegna tre anni prima di morire ( Correggio, Parma), porta iscrizioni significative di pugno dello stesso artista: "Dipinto da Andrea Mantegna per carità e donato come offerta il 5 gennaio 1493"; e ancora: "Mortificate voi stessi davanti all'effige del mio volto". Risale al 1500 il capolavoro assoluto di Mantegna, il Cristo morto di Brera, piccola grande opera (66x81) di "un Cristo in scurto". Qui Mantegna raggiunge la perfezione sognata da ragazzo: sulla pietra dell'Unzione giace il bel corpo e marmo, lenzuolo e carne sono tutt'uno in un prospettiva così audace da diventare forma simbolica, icona di una grande sintesi - spirituale e tecnica - della cultura rinascimentale, superata e condotta verso la modernità. In quella penombra, in quella fissità, si sente il gemito delle pie donne che appena si ritagliano un minuscolo spazio nel quadro; eppure, il fruscio di quel fazzoletto portato al volto riempie il silenzio, seguito dall'impercettibile gocciolio di una lacrima. Mantegna riesce così a far trionfare la vita in quella marmorea effigie di morte.