Famiglia Cristiana n° 41 - ottobre 2006
Eutanasia
LE VOCI DI COLORO PER CUI LA SI INVOCA E DI CHI SE NE CURA
Morena, 39 anni il 3 ottobre, sposata con Manuel Stefani da cui ha avuto una figlia che oggi ne ha 16, si trova da quattro anni immobile in un letto all'Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone.
Racconta il marito: "Quando ho conosciuto Morena 18 anni fa, erano già evidenti in lei i primi sintomi della Corea di Huntington, una malattia genetica degenerativa ereditaria che colpisce il sistema nervoso centrale. Dopo la fase iniziale di innamoramento, è stato subito chiaro che si doveva decidere cosa fare. La scelta non era facile. Non mi sono però mai sentito "diverso" da chiunque altro scelga di sposare una donna a cui vuole bene. Anche Morena sentiva questo, desiderava fare quella scelta e avere dei figli, nonostante i rischi. La preghiera e la compagnia degli amici ci hanno sempre guidato fino a oggi".
"Morena", continua Manuel, "è stata moglie e madre, ha vissuto con me e nostra figlia, superando via via le difficoltà che la sua malattia le creava. Una volta la settimana la portavo a cavalcare, la sua grande passione: l'ippoterapia le piaceva molto e le faceva bene. Con il progredire della Corea (che in greco significa danza, a indicare i caratteristici involontari movimenti che provoca nel paziente) seguì un veloce declino neurologico e mentale che rese necessaria la presenza di una persona che l'accudisse nei momenti in cui ero assente. Si rese anche necessario l'uso della sedia a rotelle. Quattro anni fa ebbe una gravissima infezione: sembrava la fine, ma io sperai contro ogni speranza, nonostante il parere negativo dei medici. Morena superò la crisi e fu un vero piccolo miracolo. Da quel giorno, però, mia moglie perse la capacità di nutrirsi, di esprimersi a parole e, apparentemente, perse la coscienza di ciò che la circondava".
Entriamo nel reparto di lunga degenza Sant'Agnese. Passiamo nei corridoi che danno su stanze a due letti: 25 pazienti, cinque dei quali in uno stato vegetativo che equivale al coma. Parenti e infermieri sanno che questa, per i loro malati, è l'ultima casa. Proprio per questo la vogliono bella, accogliente, serena. Savino Lorusso è il responsabile del reparto. Accanto a lui l'infermiera Marcella Rovani e l'educatrice Letizia D'Ambrosio. Non eludono il tema di cui l'opinione pubblica sta dibattendo in questo momento, l'eutanasia. Nelle parole di Savino Lorusso c'è l'orgoglio di chi sostiene la vita fino alla fine, come un soldato in trincea. E qui è normale non tirarsi indietro di fronte all'ultimo nemico.
Con semplicità e realismo Savino Lorusso relaziona sullo stato della moglie di Manuel Stefani: "Morena è portatrice di Peg, il sondino che dall'esterno entra nello stomaco per l'alimentazione artificiale. Segue dei ritmi di postura, cioè le viene cambiata posizione ogni due ore e mezza, per quel tanto che lo consentono i suoi arti inferiori e superiori in continua contrazione. A volte sembra capisca tutto e anche noi abbiamo imparato a capirla: se si morde il labbro inferiore o la lingua, per esempio, significa che ha mal di denti".
Interviene Marcella, l'infermiera che conosce Morena da più tempo: "Ha sempre caldo e piange se la copriamo troppo. Poi di notte le viene freddo e ancora piange, ma si acquieta se le rimbocchiamo ben bene le coperte. Per il resto Morena ha un bel carattere e quando ride la sua risata è contagiosa: si capisce che in quel momento è felice".
Un senso sino all'ultimo
"Questi pazienti sono come bambini, dipendono in tutto da noi che li conosciamo bene", commenta Savino Lorusso. "Vorrei che venissero qui quelli che nei dibattiti televisivi parlano di staccare la spina: vorrei proprio vederli qui, a farlo loro, di persona!". Se gli si chiede a bruciapelo: "Ma allora la vita ha un senso fino all'ultimo?", risponde: "Sì, bisogna crederci e difenderla fino alla fine, non siamo noi i padroni. Un esempio: avevamo un paziente con un tumore al cervello, ci chiedevamo se valesse la pena di operarlo. Dopo l'intervento è, per così dire, rinato e adesso quell'uomo si nutre dalla bocca mentre già si parlava di mettergli un sondino. Un altro piccolo miracolo".
Anche il marito di Morena è d'accordo. Ora stiamo con lui in piedi accanto al letto con le sponde imbottite di rosso dove sua moglie agita le braccia e sembra voler dire qualcosa. Lui le stringe forte la mano: "Già il fatto che Morena sia qui ora per me è un miracolo, a volte penoso da guardare in faccia, ma pur sempre un miracolo. L'unica cosa che faccio quando vengo qui è dire il rosario tenendole la mano. Poi le racconto le ultime novità in famiglia e con gli amici. Morena non mi dà segnali per dire che capisce o che almeno mi riconosce, ma so che vuole le coccole, come quando eravamo a casa… Io la paragono a un bambino molto piccolo che sente tutto in modo confuso, ma riconosce l'abbraccio e la presenza dei suoi cari". Vorrei fare a Manuel Stefani la domanda che mi tormenta: però è possibile vivere così? Ma mi si smorza in gola perché la risposta è già evidente nella sua vita, in quella di Morena e delle persone che l'accudiscono. Lascio così proseguire Manuel nel discorso che fluisce spontaneo mentre accarezza i capelli neri di Morena… e lei spalanca i suoi occhi profondi verso l'infinito: "C'è chi venendo a trovare Morena l'ha definita un'icona, immagine vivente di Cristo, del Mistero, una Presenza, un Tutto evidente nonostante il dolore".
è toccante sentire come quest'uomo abbia vissuto il caso Terry Schiavo, la donna a cui un anno e mezzo fa in America è stata tolta l'alimentazione artificiale per volontà del marito, nonostante il parere contrario dei genitori: "Ho sofferto molto, anche per la vaga somiglianza tra il volto di Terry e quello di Morena. Ho sofferto come se con Terry fosse morta una parte di mia moglie. Mi ha dato i brividi pensare che siano stati tolti, per così dire, l'acqua e il pane a una persona che, a modo suo, era viva come lei ora".
Interviene Savino Lorusso: "Uccidere qualcuno per non vederlo soffrire più è un fallimento, un arrendersi al male: possibile che non ci sia un altro modo per aiutare queste persone?". E Manuel Stefani aggiunge: "Senza un luogo come questo dove, curando il malato, si curano e si dà conforto indirettamente anche ai familiari, non mi sarebbe stato possibile vivere questa situazione. La nostra associazione per i malati di Corea di Huntington insiste per avere più assistenza domiciliare fin quando è possibile. Poi ci si deve affidare a un centro come questo, che offre risorse adeguate".
E qui, davanti a Morena, a suo marito, a Savino, a Marcella e a Letizia proviamo la strana, paradossale, sensazione di essere a casa.