Famiglia Cristiana n° 41 - ottobre 2008

GIALLO ARTISTICO NELLA SOFFITTA DI UNA CHIESA DI BERGAMO

GLI SCARABOCCHI DI MANZù

Se quei disegni fossero autentici si aprirebbe una pagina inedita nella biografia dello scultore di Papa Giovanni, di cui si festeggia con una mostra il centenario della nascita.

Ci troviamo nel sottotetto di una delle più belle e antiche chiese di Bergamo: la basilica minore di Sant'Alessandro in Colonna. Da una stretta scala ci siamo arrampicati fin qui - nella polverosa stanza dove fino a poco tempo fa si azionavano a mano i mantici dell'organo - spinti dalla curiosità di scoprire quelli che potrebbero essere alcuni disegni giovanili di Giacomo Manzoni (in arte Manzù). Almeno secondo le circostanze. Infatti, il futuro scultore di Papa Giovanni XXIII (autore di molti suoi ritratti, del calco funebre e della Porta della Morte in san Pietro) da ragazzo frequentava la chiesa in compagnia del padre Angelo, sacrestano.
Di Manzù si festeggia quest'anno il centenario della nascita (22 dicembre 1908) e il Gamec di Bergamo, con la Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma, dedica allo scultore, morto 17 anni fa, una mostra aperta fino all'8 febbraio e incentrata sugli anni giovanili: Giacomo Manzù scultore. Gli anni della ricerca. 1938-1965.

Azionava i mantici dell'organo

I disegni che abbiamo sotto gli occhi, tracciati a matita sull'intonaco, se autentici racconterebbero i pensieri e le visioni del quindicenne Giacomo, che nel 1923 frequentava la scuola serale d'arte plastica Fantoni, e nel tempo libero aiutava il padre. Tra i vari compiti da svolgere in Sant'Alessandro c'era anche quello di azionare i mantici dell'organo. E il futuro scultore avrà di certo subito il fascino di questo solitario rifugio dove, nelle pause di tempo tra un pezzo d'organo e l'altro, poteva realizzare la sua grande passione: disegnare.
Proprio dal pulpito di sant'Alessandro aveva predicato per la prima volta, vent'anni prima, un giovanissimo Angelo Roncalli, assistito proprio dal padre di Manzù, come lo stesso Giovanni XXIII racconterà all'artista: -Era il 29 gennaio del 1906, due anni dopo la mia ordinazione. La mia prima predica a Bergamo per il vespro di san Francesco di Sales, in Sant'Alessandro in Colonna. Papà Manzù mi accompagnò al pulpito sedendosi poi sui gradini. Cominciai titubante. Una predica allora durava minimo 40 minuti. Arrivato a metà, suo padre, che ascoltava seduto ai miei piedi, vedendomi un po' in difficoltà, mi tirò la veste e mi disse in dialetto: "Si faccia coraggio, don Angelo, che va benissimo"".
Angelo Roncalli tornerà poi nella sua Bergamo dopo l'esperienza di cappellano militare. Nel dopoguerra la città è colpita dalla terribile epidemia di spagnola e monsignor Loris Capovilla, segretario del futuro Papa, così ricorda il ragazzino Manzù: -Giacomo, che faceva il chierichetto, aiutava i sacerdoti di Sant'Alessandro in Colonna nel doloroso compito di portare al cimitero i malati di spagnola. Si caricavano i cadaveri su un carro senza sponde. Seguiva a piedi il desolato corteo, con una torcia. Tutti i giorni! Tanti morti! Una fossa comune!". La memoria di quei morti sembra condensarsi sul muro della soffitta: se i disegni fossero di Manzù, si spiegherebbe la cura con cui è disegnata, tra gli orti e i pascoli che circondavano Bergamo, una di quelle cappellette-ossario che qui si trovano ancora, ai crocevia, per ricordare i morti della peste.

Le stelle sulla finestra

Anche le visioni dall'alto della Bergamo contadina e artigiana di quei tempi - visioni fantastiche, "a volo d'uccello", ma realistiche e in perfetta prospettiva - possono ben rappresentare la quotidianità vista dagli occhi di un ragazzo innamorato del disegno, che in quell'improvvisato atelier vedeva la sua piccola "cappella" da decorare. Una serie di stelle, ricavate a matita da un'unica sagoma, corre sulle pareti e sul profilo della finestra, come per raccordare le immagini in un racconto unitario.
Quei lampioni di scorcio in una via bergamasca, potrebbero addirittura essere gli stessi che Manzù stava progettando per piazza Vittorio Veneto, su incarico dell'intagliatore e doratore Dossena. Anche la sedia in stile floreale e il bel tavolino con natura morta e bricco che si intravede dietro il quadro-luci (l'abbiamo fotografato per primi "di sbieco", ma bisognerebbe liberare il muro per vedere meglio) rivelano una mano educata al disegno di mobili e oggetti artigianali. Oggi si parlerebbe di design industriale e, in effetti, il figlio di Manzù, Pio, prematuramente morto a trent'anni in un incidente stradale, fu acuto disegnatore di automobili; oggi, in contemporanea a quella di suo padre, Bergamo lo ricorda nella stessa sede del Gamec con la mostra: Pio Manzù. Quando il mondo era moderno.
Nella penombra della soffitta, sul muro di destra, ci attraggono due volti arcimboldeschi che si trasformano in zucche e fiaschi accompagnati dalla scritta: "Filosofia e occupazione del secolo nostro". A sinistra invece, nello spessore della finestra, due sguardi di adolescenti ci fissano con una vena di nostalgia. Forse c'è un rapporto tra questi volti, queste mani, questi profili e gli affreschi di Villa Ardiani a Selvino, realizzati da Manzù una decina d'anni dopo (1932).
In alto, sotto la volta della finestra, alcuni steli di fiori ricordano il famoso Erbario di Manzù realizzato nel 1944 a Laveno (oggi visibile all'Accademia Carrara di Bergamo) e che tanto colpì il critico d'arte Giovanni Testori.
La cura con cui sono disegnati quei semplici fili d'erba rivelano una poesia e una grafia non comune. Forse, l'ignoto scribacchino dei muri di Sant'Alessandro è davvero Manzù.