Famiglia Cristiana n° 47 - novembre 2006
I MUSEI VATICANI FESTEGGIANO I 500 ANNI DALLA FONDAZIONE
SULLE TRACCE DEI GIGANTI
La mostra dedicata al "Laocoonte", il restauro delle stanze dei Borgia, l'apertura della necropoli romana della Via Triumphalis sono i grandi appuntamenti per i visitatori, che quest'anno hanno toccato la cifra record di quattro milioni.
Nel secondo libro dell'Eneide, il poeta Virgilio racconta l'episodio drammatico del sacerdote troiano Laocoonte che, con i suoi figli, viene inghiottito dalle spire di due enormi serpenti di mare per avere cercato di convincere (invano) i suoi concittadini a non accettare l'ingannevole dono del grande cavallo di Ulisse. Come sappiamo, la profezia di Laocoonte si avvererà e Troia cadrà in mano nemica; Enea fuggirà dalla città in fiamme per raggiungere il Lazio.
Passando dal mito alla storia - e dall'età pagana all'era cristiana -, il 14 gennaio del 1506, nella Roma di papa Giulio II, lo straordinario gruppo scultoreo che rappresenta la drammatica fine di Laocoonte e dei suoi figli (un enorme blocco di marmo alto 242 centimetri datato tra il 40-30 a.C. e il 14-37 d.C.) viene rinvenuto negli scavi sul colle Oppio, nella vigna di un tale Felice de Fredis, presso le terme di Tito. Giulio II lo acquista per esporlo in Vaticano, nel cortile del Belvedere, dove si forma ben presto il primo nucleo di uno dei più importanti musei al mondo: i Musei Vaticani.
Oggi la grande mostra Laocoonte. Alle origini dei Musei Vaticani, che rimarrà aperta fino al 28 febbraio - l'ingresso è gratuito -, festeggia i 500 anni dalla fondazione. E lo fa raccontando in cinque sezioni la fortuna che l'iconografia del "Laocoonte" ha avuto nei secoli attraverso antichi e preziosissimi codici (come il Virgilio della Biblioteca Vaticana), studi e copie di grandi artisti (Rubens, Bernini, Hayez, Salvador Dalí). Al centro dell'attenzione, naturalmente, la statua del Laocoonte stesso, provvisoriamente rimossa dal cortile dell'Ottagono insieme al Torso del Belvedere: due opere che ispirarono a Michelangaelo l'atletico Cristo del Giudizio universale della Sistina, punto di arrivo ideale di un percorso che, dopo la visita alla mostra, vi proponiamo all'interno dei Musei, alla scoperta dei loro inestimabili tesori.
Il fascino e i rischi dell'Oriente
Si può partire dal Museo missionario-etnologico con il nuovo allestimento delle sezioni dedicate a Cina, Giappone, Corea, Tibet e Mongolia. Qui i missionari hanno radunato i simboli delle grandi religioni e civiltà del mondo, gli oggetti sacri, i templi (veri o ricostruiti), le vesti da cerimonia, le immagini delle divinità, raccolti nei loro viaggi. Nella sezione della Cina troverete un altare di Confucio, rutilante d'oro e vivacissimi colori, che richiama nel suo splendore i nostri altari barocchi. E subirete il fascino del Buddha Guanyn, immagine della grazia, della compassione infinita e della speranza suprema, divinità maschile e femminile insieme, seduta sul fiore di loto. Scoprirete i 13 kakemono, rotoli di preghiera giapponesi in seta dipinta con immagini che corrispondono a 13 divinità da invocare per i peccati commessi dai propri defunti.
In una vetrina è esposta una copia (l'originale è a Tokyo) della tavoletta con l'immagine sacra che i cristiani, in Giappone, dovevano calpestare davanti all'imperatore, pena la morte; e accanto a essa l'editto che proibiva in tutto l'Impero del Sol Levante la religione cattolica. Lì vicino sono appesi i kakemono in versione "cristiana" con l'immagine dei martiri e di Nostra Signora del Giappone.
Sopra il Museo etnologico si trova il Museo Pio Cristiano, dove l'iconografia dei bassorilievi sui sarcofagi mostra come il cristianesimo sia nato proprio dalla speranza della risurrezione: scene bibliche ed evangeliche, soprattutto il ciclo di Giona che "risorge" dopo tre giorni dal ventre del pesce, come Cristo dalla tomba. Spesso le scene sono ordinate su due fasce intorno a un clipeo centrale, a forma di conchiglia, dove sono ritratte coppie di coniugi defunti, a ricordare la speranza cristiana nella vita dell'al di là. Accanto al Museo Pio Cristiano di papa Gregorio XVI si trova il Museo Profano: è interessante fare un confronto tra il culto del corpo della statuaria greco-romana - che celebra le vittorie militari e le conquiste dell'imperatore - e la narrativa semplice e familiare delle storie bibliche dei sarcofagi, dove è l'uomo comune a diventare protagonista della storia della salvezza. Ma è nel culto dei morti che troviamo elementi di continuità tra il mondo pagano e cristiano: le urne cinerarie, per esempio, rispetto alle più pompose are votive, possono richiamare la familiare semplicità del culto cristiano dei morti.
Siamo così pronti a visitare - bisogna prenotarsi, ma ne vale la pena - la Necropoli recentemente scoperta lungo l'antica Via Triumphalis. L'emozione è grande: una collina con tombe di famiglia ornate di stucchi, resti di affreschi e mosaici; oppure semplici fosse nella nuda terra dove, sotto le "cappuccine" (grosse tegole messe a "v", come le carte da gioco, per proteggere i corpi) affiorano bianchissimi scheletri perfettamente conservati. Ed emergono qua e là nel terreno, tra lapidi, are votive e cappellette, i caratteristici "tubuli" d'argilla per il refrigerium: durante i banchetti funebri (molto in uso presso i Romani, specie nel mese di febbraio) i vivi versavano al defunto olio, latte, vino e miele.
Il Raffaello restaurato
Dal regno dei morti risaliamo ai vivacissimi colori della Pinacoteca Vaticana: un tuffo attraverso la storia della grande pittura cristiana che racconta la fede del nuovo popolo di Dio nella vita di Cristo e dei suoi santi. A metà del percorso, nella grande sala pressurizzata dedicata a Raffaello, eplodono nel buio i colori delle sue tele, così brillanti dopo il recente restauro che sembra quasi di sentire nell'aria l'odore dell'olio che asciuga.
Tra l'Incoronazione della Vergine e la Madonna di Foligno è esposto il capolavoro assoluto e ultimo, che Raffaello non poté terminare di persona: la Trasfigurazione. Se le prime due tele esprimono la felicità del pennello del giovane urbinate, nella Trasfigurazione l'artista raggiunge una drammaticità sconvolgente, un realismo brutale che fa già pensare alle conquiste di Caravaggio, che incontreremo in alcune sale dopo nella sua fulminante Deposizione. E sembra quasi che i due grandi geni italiani della pittura - rinascimentale il primo, della controriforma il secondo - si siano dati la mano al di là del tempo e delle convenzioni.
Attraverso i lunghi corridoi dei Candelabri e degli Arazzi, attraverso le sale delle Carte geografiche (dove ciascuno può ritrovare pezzi di un'Italia a lui familiare) giungiamo nelle Stanze Vaticane, dove incontriamo di nuovo la mano di Raffaello in grandiosi e notissimi affreschi.
Le stanze dei misteri di casa Borgia
Ma è nelle stanze dell'appartamento Borgia, affrescate da Pinturicchio e dalla sua scuola e appena restaurate, che ci fermiamo: in particolare nella sala VI con i "sette Misteri del rosario" (secondo la tradizione francescana spagnola) dove, nella scena della Risurrezione, troviamo papa Alessandro VI Borgia in ginocchio e i suoi quattro figli al posto dei soldati intorno al sepolcro vuoto.
Nelle stanze dei Borgia imbocchiamo il percorso che ci accompagna attraverso le collezioni d'arte religiosa moderna: immagini drammatiche dell'arte del secolo breve, il terribile Novecento di guerre, rivoluzioni e olocausti, in cui, se domina lo strazio della croce, la grande assente sembra essere la speranza e dove l'arte si nega a ogni bellezza. Sono le grandi raccolte volute da Paolo VI, che segnano il tentativo di ricucire un dialogo tra due sorelle: l'arte e la fede.
Passando così attraverso i fantasmi dell'arte moderna - che a volte appaiono più angoscianti della serena arte delle sepolture della necropoli romana della Via Triumphalis - arriviamo alla meta del nostro viaggio: la parete mozzafiato di Michelangelo, quel suo atletico Cristo del Giudizio universale intorno a cui ruota l'umanità, mossa dalle sue braccia come la macina fa con il grano per trarne pula o farina. Sopra Cristo incombe un gigantesco Giona, esageratamente più grande, quasi che la verità appaia più piccola della sua ombra, nascosta nelle parole del vecchio mondo.
Da Laocoonte a Cristo
E Maria, accanto a Cristo, appare ancora più piccola e ritrosa, rifugiata sotto il braccio imperioso di Gesù, mentre volge lo sguardo premuroso ai suoi figli: i beati in ascesa. La debolezza di Dio è la sua forza, e ciò appare ancora più evidente nella madre, nella quale si ritrova la pienezza della misericordia intuita nel mito del Buddha. Qui, nella Sistina, l'atletico Cristo-Laocoonte salva la città degli uomini. E rivela la faccia della pietà: il gesto di Cristo non è conclusivo, potrebbe ruotare in un senso o nell'altro, potrebbe salvare o dannare. Il giudizio è sospeso: non tocca agli uomini, agli artisti e nemmeno ai papi.
Dal portone in fondo a destra della Sistina usciamo: a sinistra, per una grande scala, ci ritroviamo direttamente in piazza San Pietro. Il bosco sacro del colonnato del Bernini abbraccia la piazza che il sole trasforma in un lago di luce. Nella penombra dei Musei Vaticani abbiamo attraversato la storia degli uomini come pellegrini del tempo e dello spazio. Con l'impressione di essere stati anche noi - in qualche modo, in qualche tempo, in qualche istante - salvati.