Famiglia Cristiana n° 48 - novembre 2006

I SANTI NELLA STORIA: INTERVISTA A PADRE ADALBERTO PIOVANO

ALLE RADICI DEL VANGELO

La santità degli eremiti come ritorno alla radicalità evangelica. "Lo stato di solitudine interiore davanti a Dio fa riscoprire il primato dello Spirito", dice padre Piovano.

Il calendario dei santi del mese di maggio si apre nel segno dell'eremitismo e della fuga dal mondo: figure come sant'Atanasio il Grande (2 maggio), san Pacomio (9 maggio), san Simeone Stilita (24 maggio) sono alle radici della grande esperienza monastica che, dai deserti dell'Egitto, della Siria e della Palestina, darà i suoi frutti sia in Occidente sia nell'Oriente cristiano.
Per addentrarci nell'argomento abbiamo incontrato padre Adalberto Piovano, priore del monastero della Santissima Trinità di Dumenza (Varese), e appassionato studioso della spiritualità monastica orientale.
- Padre Adalberto, ci parli delle origini del monachesimo e, in particolare, della figura di san Pacomio...
"Tra il II e il IV secolo si sono formati i primi centri monastici sia in Egitto sia in altre parti dell'Impero romano, come la Siria e la Palestina. In Egitto si sviluppa una forma di vita semi-anacoretica in cui i monaci vivono in parziale solitudine, in piccole celle. Parallelamente nascono le prime forme di vita in comune, cenobitica, appunto, di cui Pacomio è considerato il padre fondatore: egli diede una struttura a queste grandi comunità fondando nel deserto vere e proprie cittadelle dello spirito".
- Come nasce la figura del monaco che viene chiamato "stilita", e in che cosa consiste precisamente la sua santità?
"In Siria il monachesimo ha prodotto forme radicali di vita eremitica, come il fenomeno degli stiliti che vivevano in cima a colonne, spesso di grandi dimensioni. Alcune delle quali sono ancora visibili, come quella di san Simeone, intorno a cui è sorto un monastero. In cima a queste colonne veniva costruita una piattaforma come riparo per le intemperie e sotto accorrevano i fedeli a chiedere grazie, consigli e guarigioni".
- Come nasce e si diffonde il monachesimo in Europa?
"Il monachesimo arriva in Occidente attraverso san Cassiano e confluisce poi nella Regola di san Benedetto (460-560). La prima vera e propria figura di monaco in Europa, però, è quella di san Martino di Tours (317-397) che fondò a Ligugé, presso Poitiers, il primo monastero di tutto l'Occidente, il più antico e tuttora esistente. Quando il vescovo di Alessandria, Atanasio il Grande, fu mandato in esilio a Treviri, fece conoscere all'Occidente la sua Vita di sant'Antonio tradotta in latino, essendosi perso l'originale greco. Per questo sant'Antonio del deserto è diventato anche per noi il prototipo del monaco".
- Per restare in Occidente, parliamo ora di sant'Agostino...
"Agostino fu il primo a stendere una bozza di Regola, a partire dal Vangelo, sulle dimensioni essenziali della vita monastica. Per semplicità evangelica, ampiezza di visione, attenzione al valore di ogni singola persona, la Regola agostiniana è stata adottata, accanto a quella benedettina, fino al XVI secolo dai domenicani e dai canonici regolari, in particolare i premostratensi. Anzi i capitoli 64 e 72 della Regola benedettina, che sottolineano la dimensione comunitaria, i rapporti interpersonali e il valore della discrezione, furono elaborati da san Benedetto proprio a partire dall'influsso della Regola agostiniana".
- Cosa può imparare un uomo del XXI secolo da queste esperienze di santità monastica?
"La riscoperta in Occidente della santità monastica - che in Oriente, una volta finite le persecuzioni anticristiane, coincideva con il martirio spirituale - rappresenta un ritorno al radicalismo evangelico. Al di là delle forme storiche con cui il monachesimo ha vissuto nei secoli la sequela di Cristo - sequela che san Benedetto chiama "alla scuola del Vangelo" -, ciò che conta è la dimensione della carità, che per Benedetto significa "nulla anteporre all'amore di Cristo". Questo stato di deserto, nudità, solitudine interiore davanti a Dio fa riscoprire ai cristiani il primato dello Spirito e la libertà dal mondo. Siamo chiamati all'impegno nel mondo, ma sempre attraverso un discernimento, una vigilanza: "essere nel mondo ma non del mondo". Il monachesimo, come erede della testimonianza dei martiri, propone ancora all'uomo d'oggi di dare la vita fino al martirio spirituale".
- Tornando alle radici, all'Egitto e alla Siria, che cosa sta succedendo oggi in quei luoghi? è ancora viva l'esperienza monastica?
"I Paesi del Medioriente, come sappiamo, hanno sofferto non poco in questi anni una forte riduzione della presenza cristiana. In Cappadocia non esistono più monasteri, mentre nella zona della Turchia dove vivono minoranze cristiane siriache, sopravvivono alcuni centri monastici. L'esperienza più interessante e vitale è in Egitto: qui c'è stato un movimento di risveglio del monachesimo copto, soprattutto intorno agli anni '50 e '60, per opera di Mata el Meskin (Matteo il povero), morto proprio quest'anno, figura luminosa di monaco che ha riempito i monasteri della regione grazie alla sua proposta di rinnovamento spirituale".