Famiglia Cristiana n° 51 - dicembre 2005
UN POPOLO FESTEGGIA LA SUA MADONNA-CONTADINA
IL RITORNO DI GIORGIONE
Dopo i restauri è di nuovo nella sua città il capolavoro dell'enigmatico pittore di Castelfranco Veneto.
L'8 dicembre, festa dell'Immacolata, la cosiddetta "Pala di Castelfranco", opera di Giorgio (o Zorzi, Zorzo, Zorzon) da Castelfranco, detto Giorgione per la sua gran fama di eccellente pittore, è tornata con grande festa di popolo alla sua città: Castelfranco. Si tratta di una grande tavola (alta due metri e larga uno e mezzo, di assi di pioppo accostate) che Giorgione dipinse tra il 1503 e il 1504 per la cappella di famiglia di uno dei più celebri condottieri veneziani, il cavaliere di Malta Tuzio Costanzo, in occasione della morte del figlio Matteo.
L'opera subì ridipinture e restauri già nel Seicento, un furto nel 1972, un complesso e accurato restauro nel 2002-2003 in occasione della mostra veneziana su Giorgione, Le meraviglie dell'arte. I castellani temevano persino che non ritornasse più nella loro città, dove è da sempre custodita all'interno del Duomo, nella Cappella Costanzo, a destra del presbiterio. Lì, sul bassorilievo della lastra tombale ai piedi dell'altare, è raffigurato in armatura Matteo.
Matteo era un giovane come il nostro Giorgione, che morì di peste qualche anno dopo, tra il 1510 e il 1511, forse all'età di 33-34 anni. Forse, forse, forse. La vita di Giorgione è un enigma e le opere a lui attribuite con certezza sono solo tre: la Pala di Castelfranco (il cui vero titolo è Madonna col Bambino in trono e i santi Nicasio e Francesco), i Tre filosofi e la famosissima Tempesta; suoi non perché portino la sua firma (Giorgione non firmava mai), ma perché sono le uniche opere che la critica unanimemente gli attribuisce.
Giorgione fu un pittore laico, rinascimentale, umanista, amante della musica e delle belle donne che animavano la laicissima Venezia; dipingeva, per gli amici e per i circoli umanistici, soggetti appartenenti al mito e alla poesia della natura. Come scrive Virgilio Lilli a proposito della Pala di Castelfranco, "l'assorta stupenda Madonna è una contadina che si presta a una sacra rappresentazione e che fra breve scenderà nei campi a falciare il grano, come faranno gli altrettanti melanconici san Liberale e san Francesco, ritti sotto il suo trono, appena si saranno disfatti l'uno dell'armatura di ferro e l'altro del saio".
E forse è proprio questo silenzio laico che invita a entrare anche noi nel quadro attraverso la prospettiva a quadroni del pavimento: a metterci comodi su una immaginaria sedia tra i due santi per godere la semplicità della loro presenza; e per sentirci addosso lo sguardo di quella madre che guarda proprio in giù verso di noi; poi prendere una scala e scavalcare il basso panneggio di velluto color porpora, e correre liberi al castello e al bosco.
Forse sono proprio questi i sentimenti che legano gli abitanti di Castelfranco alla loro pala; alla quale non sono disposti a rinunciare, come non rinuncerebbero mai a un bel piatto di radicchio "Variegato di Castelfranco", che viene detto anche il "fiore che si mangia".