Famiglia Cristiana nn° 52 - dicembre 2012

I SETTE VIZI CAPITALI NELL'ARTE: La tirannia dell'umore

Non rincorrere inutilmente il passato, non sognare un futuro improbabile, ma vivere bene il presente. Le riflessioni di Enzo Bianchi. E i volti dell’arte, da Giotto a Picasso e Dalì.

Ripiegarsi su se stessi guardando con nostalgia al passato; oppure vivere illudendosi che nle futuro, prima o poi, domani o forse dopodomani, qualcosa cambierà. È questa la grande menzogna che genera quella pericolosa tristezza che, come sottolinea Enzo Bianchi in questo nuovo appuntamento con i vizi capitali, è un rapporto deformato con il tempo. come ci mostrano gli Orologi molli di Salvador Dalì (1931), in cui il quadrante, le lancette e i numeri paiono liquefarsi e perdere consistenza. La tristezza è anche una piaga sociale, la porta lasciata aperta da cui può entrare la depressione, uno dei mali più diffusi oggi. Uno dei pittori più emblematici del Novecento, il norvegese Eduard Munch, un anno prima di dipingere l’angoscia esistenziale che lo soffocava nel suo famoso Urlo (1893), nell’opera Malinconia (1892, Oslo,Galleria nazionale) esprime il sentimento più sfumato della tristezza, mentre in Chiaro di luna (1895) l’angoscia di Munch si fa domanda di un senso da dare alla vita, come nella poesia che Giacomo Leopardi dedica alla luna: Che fai tu luna in ciel? dimmi che fai. (1830, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia).

L’incapacità di vivere il presente e di apprezzarlo con i suoi limiti e contraddizioni genera insoddisfazione, tristezza, lamento; fino a nutrire in noi sentimenti peggiori come l’invidia e la gelosia verso chi, apparentemente, sta meglio di noi. O almeno sembra. Tra le allegorie femminili dei vizi capitali che Giotto affresca a Padova sulle pareti della cappella Scrovegni (130-1304) l’invidia è una donna con un serpente che esce dalla sua bocca e le si rivolta contro, mentre le fiamme del desiderio delle cose altrui la divorano. L’invidia e la tristezza pervadono tante storie della Bibbia. L’arte ci racconta la storia di Giuseppe venduto dai fratelli invidiosi per i suoi sogni in cui appare Giuseppe appare il prescelto da Dio e dal padre Giacobbe.

La tristezza ha tante sfumature e può essere buona o cattiva. Può essere un verme che ci rode il cuore come scrive nel VI secolo un padre del deserto come Evagrio Pontico; ma può anche essere santa e provocare lacrime di conversione, quel dono di piangere i nostri peccati che è fonte di beatitudine. Anche i santi hanno provarto tristezza. Hieronymus Bosch nel suo San Giovanni Battista in meditazione (1489) ci mostra il cugino di Gesù, il precursore, l’ultimo dei profeti, l’uomo del deserto e della solitudine, giace prostrato in un paesaggio allucinato e pieno di simboli inquietanti come uno strano fiore che ricorda tanto I fiori male di Baudleaire..

La notte è l’ora della tristezza. Anche Gesù è stato preso da una tristezza mortale in quell’ultima notte nel Getsemani come ci mostra Paul Gauguin nel suo bellissimo Cristo dai capelli rossi (1889) in cui l’artista ritrae se stesso. Pablo Picasso nella Bevitrice di assenzio (1901) esprime, come in tutti i suo quadri del periodo blu, malinconia, tristezza e nostalgia. Note di una musica che suona apparentemtne fuori luogo nella spensierata Parigi. Eppure prima di lui Edgard Degas e Toulouse Lautrec hanno affrontato lo stesso tema per sottolineare l’abbruttimento fisico e morale dell’uomo moderno, la sua infinita tristezza e insoddisfazione.

ENZO BIANCHI / TRISTEZZA

Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, ripropone una pedagogia antica e nuovissima che aiuta la conoscenza di sé, la consapevolezza dei propri limiti, l’umiltà di decidere di camminare con Dio curando la disciplina interiore e puntando a una libertà responsabile. Il sesto volume, sul vizio capitale dell'acedia, è allegato al numero 53 di Famiglia Cristiana dal 27 dicembre, a 2,90 euro in più.