15 febbraio 2024
Il volto santo di Lucca e quella misteriosa somiglianza con la Sindone
Il Volto Santo di Lucca (VIII-IX sec.) arrivò a Lucca dalla Terra Santa. Era un reliquiario. E l'immagine della Sindone gli è perfettamente sovrapponibile
Farebbe invidia a Picasso il Volto Santo di Lucca, attualmente in fase di restauro nella cattedrale della città intitolata a San Martino. Un volto scolpito nel legno di noce in modo così sintetico e primitivo – quasi cubista. Sarebbe piaciuto a Picasso o a Modigliani, entrambi affascinati dalla scultura primitiva africana e orientale. Un volto dai tratti così marcati, dai capelli e dalla barba così geometrici da ricordare le primitive icone. Un volto così regale da ricordarci il Cristo trionfate dei primi secoli quando, per tenere viva la fede nella vita eterna, si rappresentava un Dio non morto ma risorto.
Picasso sì, ma un volto così può piacere anche a noi oggi, mentre ci guarda con i suoi grandi occhi, ci attrae con il fiume della sua barba fluente e dei suoi capelli – un flusso di vita – volto selvatico, misterioso, che sembra uscito da una foresta, come il legno in cui è scolpito. E sentiamo risvegliarsi un sentimento antico, arcaico, un desiderio e un grido nascosto. “Mostraci il tuo volto!”. È un Dio vivo, un Re! E la veste regale e sacerdotale che indossa, anch’essa scolpito nell’unico blocco di legno, la corona regale e il grande cerchio anch’esso d’oro in cui è inscritto il suo corpo (come nella traiettoria di un astro), ce lo confermano.
Siamo nella cattedrale di Lucca, dove sono in corso i restauri del Crocifisso più antico d’Italia e forse d’Europa. Prima di raggiungere il prezioso reperto ci viene incontro, nel bianco marmo di Carrara (che si estrae a pochi chilometri da qui), il famoso monumento funebre di Ilaria del Carretto, la bellissima moglie del signore della città, morta di parto a 26 anni (nel 1404) e celebrata nel Novecento da D’Annunzio, Pasolini e persino da un romanzo di Liala. Un salto di seicento anni dal candore della scultura di Jacopo della Quercia al nero del crocifisso del Volto Santo di Lucca che un anno fa usciva – fasciato e imbottito per evitare qualsiasi colpo – dai cancelli del tempietto quattrocentesco dietro l’altare della cattedrale non per la tradizionale processione del 14 settembre che si ripete ogni anno in suo onore (festa dell’esaltazione della Croce), ma per ormai improrogabili analisi e restauri.
Sotto lo sguardo del vescovo mons. Paolo Giulietti e dei responsabili della Soprintendenza di Lucca e Massa Carrara e dei tecnici dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, il Crocifisso è stato trasportato a braccia e deposto nel transetto della cattedrale, in orizzontale, su appositi cavalletti. Intorno a quel “corpo” fasciato nella carta velina, si assiepano i tecnici e fervono i sopralluoghi della “scientifica”, lavori di indagine, restauro, pulitura, analisi con sofisticate apparecchiature ai raggi laser.
E arrivano i primi dati. I risultati ci dicono che il Volto di Lucca ha superato in anzianità – come in una gara sportiva – il suo gemello, il crocifisso di Sansepolcro. A stabilirlo sono le analisi al carbonio 14, le stesse utilizzate nel 2000 per la Sindone di Torino. La retrodatazione, tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del IX secolo, ci porta ai tempi di Carlo Magno e a una data precisa – il 784 dopo Cristo –, un numero che rappresenta un punto preciso, una chiave di volta tra storia, leggenda e documenti d’archivio, confermando la data di arrivo del prodigioso crocifisso per nave al porto fluviale di Lucca da Jaffa, in Terra Santa, dove era stato tenuto nascosto per secoli, per difenderlo dalla persecuzione iconoclasta.
Volto Santo di Lucca e Sindone di Torino sono due immagini che hanno certamente qualcosa in comune. L’indiziato è sempre lui, l’Uomo della croce, quel Gesù di Nazaret la cui effige rimase impressa nel telo della sua sepoltura, la Sindone appunto, così come in altre immagini simili: il velo della Veronica romana, la “garza” trasparente di Manoppello (visibile da entrambi i lati), l’icona di Edessa o di Genova, e ora questo “legno” di Lucca così nero, così scuro.
Comunque sia, fa impressione vedere questo “gigante buono” di due metri e settanta e con un’apertura di braccia di due metri e venticinque, disteso come su un tavolo chirurgico, così impotente e disponibile alle nostre analisi scientifiche, così vicino, a portata di mano, pronto ad accoglierci, a guardarci negli occhi, a dirci nel silenzio: vieni qui, sono qui per te! Il legno dei piedi è consumato dalle infinite carezze dei pellegrini che, nel Medioevo, dalla via Francigena scendevano a Roma, e affollavano la cattedrale di Lucca per vedere e toccare quel “Volto Santo” poi protetto da una nicchia (la cappella Civitali).
Secondo la tradizione delle icone “non fatte da mano d’uomo”, il Volto Santo di Lucca sarebbe stato scolpito dallo stresso Nicodemo citato nel Vangelo, il fariseo che avendo deposto Gesù dalla croce, era entrato in contatto con il lenzuolo funebre della Sindone. Fu quello il modello che Nicodemo usò per scolpire (dicono con l’aiuto di un angelo, oppure di san Luca, evangelista e pittore) il Santo Volto di Lucca. E la sua somiglianza con la Sindone verrebbe confermata da un emerito cittadino di Lucca, Giulio Dante Guerra, primo ricercatore del CNR di Pisa e che nel 2000, al congresso internazionale di sindonologia, presentò i dati delle sue ricerche sul Volto Santo, dalle quali emergeva che esso era perfettamente sovrapponibile a quello della Sindone.
Come in un giallo di Daw Brown (ma perfettamente cattolico), il legame con la Sindone si fa qui ancora più interessante sapendo che il crocifisso di Lucca, come tutti i crocifissi di epoca antica e medioevale, era in realtà un reliquiario, interamente scavato al suo interno per far posto alle reliquie trasportate per mare, due ampolle contenti il sangue di Cristo, ora conservate nel duomo di Lucca e in quello di Sarzana. In quella cavità protetta, avrebbe potuto benissimo viaggiare anche il lenzuolo funebre della Sindone, arrotolato e ben nascosto per salvarlo dai persecutori di immagini. Manoppello, Genova, Edessa, la Veronica romana, una filiera di volti da un unico Volto, da un unico Uomo. Immagini “non fatte da mano d’uomo” oppure semplicemente guidate dall’alto, come i Vangeli del resto, ispirate da una rivelazione divina.
Un ultimo elemento, emerso dalle analisi lucchesi, ci fa capire quanto potrebbe essere antico questo crocifisso, e confermerebbe forse la sua origine mediorientale. Mentre il braccio verticale della croce è di legno di castagno, essenza nostra locale, il braccio orizzontale (patibulum, che il condannato porta sulle spalle salendo al calvario), è invece in legno di cedro, essenza arborea che non cresceva in Europa nell’VIII secolo, ma venne importata solo nel XIV secolo. Una conferma forse di una possibile provenienza ancora più antica di questo “gigante” che ci guarda dalle sue pupille di smalto blu con uno sguardo che sembra venire da un altro mondo.
La sua pelle è scura, così come la lunga veste solcata da eleganti simmetriche pieghe e stretta in vita da una fascia d’oro. Le analisi hanno stabilito che la veste, così scura per il fumo di ceri e candele, in origine era di un bel blu ricavato dalla preziosa pietra di lapislazzulo. E così ritornerà dopo i restauri. Ma resta il mistero di quel Volto così scuro. Frutto del nerofumo e dei ceri che per secoli hanno bruciato davanti alla sua effige? Frutto degli strati di colore sovrapposti, come stanno dimostrando le attuali ricerche scientifiche? Frutto dell’ossidazione dei materiali usati dall’anonimo pittore, tra cui la colla animale, l’albume d’uovo, gli oli essenziali?
Certo tutto ha contribuito a questo colore scuro. Ma esiste un uso e una tradizione ben consolidata di Crocifissi e Madonne Nere, tra cui quella di Loreto e di Oropa, di Tindari in Sicilia e di Częstochowa in Polonia. Un colorito particolare che viene dall’Oriente e che sembra riecheggiare le parole del Cantico dei Cantici: “Nigra sum sed formosa”, intraducibile: “Sono di pelle scura, ma bellissima” canta la Sposa e lefa eco la regina di Saba. Parole d’amore, dunque, che immaginiamo dette anche dal Cristo di Lucca. Parole di bellezza di un Dio che ci attira non con la sua morte ma con la sua vita. “Cristo me trae tutto tanto è bello” scriveva Jacopone da Todi”. Se il cristianesimo non è bellezza, muore. Se il cristianesimo non passa da un volto amico, muore. E forse basta guardare il Volto Santo di Lucca per capirlo.