31 dicembre 2024
Il vecchio presepio racconta
È strano come nel vecchio presepio di famiglia le due caprette, anno dopo anno, seguano sempre la stessa donna vestita di rosso. Di anni ne sono passati, ma, senza possibilità di dubbio, senza incertezze, quelle due caprette seguono sempre lei, la loro pastora, la donna in rosso. Potrebbero lasciarla lì da sola in qualsiasi momento, magari per distrazione e andare dietro, per esempio, a quell’altra donna, vestita di azzurro e con l’anfora sulla testa, che promette acqua fresca dalla sua brocca.
Anche il mondo vegetale segue questa stessa strana logica per delle statuine di gesso, una logica fatta di memorie, di coerenze, di comportamenti ripetuti nel tempo, anno dopo anno, presepio dopo presepio. Così le palme infilate nelle loro basi di legno non si scambiano mai di posto, l’una, quella bassa e un po’ storta, sempre a destra accanto alla capanna, l’altra, quella più alta e diritta e che sale impettita come un campanile, sempre a sinistra a proiettare la stessa lunga ombra di traverso sull’ingresso della grotta.
Disteso nella paglia poi, un Gesù di cera coi riccioli di lana, da tanti anni ha perso le braccia, ma come sostituirlo dopo che ha visto tre generazioni bisbigliargli preghiere? I tre cammelli di gesso, fermi sotto il palmeto, sono l’orgoglio del vecchio presepio. Come sostituirli con cammelli nuovi e freschi? Cammelli così non se ne fanno più. Per questo non si butta via il terzo cammello anche se è zoppo e segue a malapena gli altri con la sua zampina che rivela sotto il gesso rotto l’anima di filo di ferro. Un’anima forte di statuine che hanno resistito a cadute e scossoni, piccoli innocui terremoti provocati dai nipoti quando invadevano la casa e facevano traballare le assi del presepio.
Anche la capanna, col tempo e qualche disattenzione, era caduta e si era scheggiata, ma così sembra più rustica, più vera. Il sughero di cui è fatta rivela un’anima pronta ad assorbire tutto, le voci degli spiritelli vaganti nella notte di Natale, i sospiri di Giuseppe e Maria, i teneri vagiti di Gesù, il ruminare del bue, il raglio dell’asino e i canti degli angeli sopra la grotta. Quante benedizioni ha ricevuto il vecchio presepio dall’uno o dall’altro prete con la tonaca nera e la cotta bianca a ricami, quante gocce dall’aspersorio d’argento sono cadute come una santa pioggia sul presepio. Quanto profumo d’incenso ha respirato la pecorella ai piedi della culla, regalo della parrocchia, piccolo attestato di partecipazione con la scritta: “Concorso presepe 1965”.
Custodito per tutto l’anno di una vecchia scatola di paglia intrecciata, un tempo confezione regalo di gin, rhum e maraschino, il vecchio presepio ha resistito al caldo e al freddo dei solai di tre case e sopportato due traslochi. Nel frattempo, qualcuno dei famigliari se ne è andato a celebrare il Natale più su del solaio, in Paradiso. Quanto gli saranno mancate al presepio quelle vecchie mani, quelle dita piene di artrosi e d’affetto per l’una o per l’altra delle statuine. C’era sempre quella preferita, ma ora un brivido nuovo, un’arietta primaverile soffia sul gregge di pecore e capri. Sono le dita morbide e paffutelle dei nipoti, che a loro volta hanno portato nuove pecorelle, piccole, medie, minuscole, robuste o gracili, e sono solo quelle piccole agili dita a saperle sistemare bene in equilibrio nei posti più impensati, così che tutto alla fine sembri più vero. Come un presepio.
Anche i mestieri si sono moltiplicati e per far loro posto le statuine del vecchio presepe di gesso sono state messe a riposo, in disparte, sostituite da bellissime riproduzioni in plastica sì ma dai colori antichi. Ci sono proprio tutti i mestieri, i barcaioli, la vecchia che fila, la donna delle caldarroste, il fabbro, il falegname, l’arrotino e la famiglia che attinge alla fontana, e poi angeli e pastori a profusione.
Ma quel pastore del vecchio presepio di gesso, disteso e avvolto nel suo mantello come una Madonna che ha appena partorito è insostituibile, il braccio sotto il capo, le sue vecchie pecore ingiallite che gli brucano attorno, una poesia irripetibile. Così non sono sostituibili le vecchie statuine del bue, dell’asino, di Giuseppe e di Maria. Non se ne può fare a mano. Bisogna tornare a loro per rivivere lo spirito del Natale. Spirito di infanzia in cui la memoria si rinnova e le membra si distendono, lasciando fluire quell’energia vitale, quella capacità di essere più sereni. Così non si rinuncia ai personaggi del vecchio presepio, se ne fanno due di presepi, uno fuori all’aperto e uno dento casa, con qualche scambio di palme e pastori, angeli e caprette. Così nel nuovo presepio non mancano mai i tre vecchi cammelli di gesso anche se un po’ rotti, perché così belli non ne sono stati fatti più.