Luoghi dell'Infinito / Avvenire - maggio 2008

LA STORIA IN BIANCO E NERO DEL POVERO CHE FU PRINCIPE

A Napoli un'esposizione fotografica illustra la figura di san Francesco Caracciolo e ne ripercorre i luoghi della vita.

Grideranno anche le pietre (Luca 19,40); e le immagini. è questo senso forte di comunicazione diretta della realtà che il fotografo Luigi Spina, puntando il suo obiettivo fotografico sull'icona di Francesco Caracciolo (1563-1608) e sui "luoghi" della sua vita, ci offre in 70 scatti d'autore. Creando, cinquecento anni dopo la sua morte, l'inedita biografia per immagini di un santo altrimenti poco raccontato dall'arte. Le foto di Spina, nel rigore del bianco e nero, ci restituiscono la forza primordiale e vulcanica della materia scolpita dalla luce: pietra, bronzo, argento, legno; ma anche elementi del paesaggio naturale e cittadino; opere d'arte e manufatti graffiati da una luce cruda, petrosa, che ha il pregio di rivelarci l'essenza delle cose, la loro verità. Una luce che fa davvero gridare "quei" luoghi, "quegli" oggetti, "quei" paesaggi di un grido che è domanda di senso per l'oggi; e insieme occasione, per noi, di confrontarci con i "segni" del nostro passato: la Napoli della Controriforma. E si rimane stupiti nel ritrovare in quei soggetti - rinnovati dalla luce del presente - lo stesso sguardo e la stessa anima con cui Francesco Caracciolo li guardava cinque secoli fa.
è questo il senso della mostra fotografica Il principe mendicante ospitata in Santa Maria Maggiore a Napoli, luogo che fu la primitiva sede (1591) dei Chierici regolari minori - o più affettuosamente i Caracciolini - l'ordine religioso fondato da Francesco Caracciolo. E' lui il principe Ascanio, diventato dopo la conversione il mendicante Francesco. Nella cappella del Tesoro del Duomo, un bellissimo busto d'argento ce lo presenta con l'aureola e lo sguardo sospeso in una luce zenitale. Siamo nel cuore religioso di Napoli, dove si conservano le ampolle con il sangue di san Gennaro. E san Francesco Caracciolo, insieme a san Gennaro, è co-patrono della città. La luce abbagliante sull'argento riempie di riflessi e guizzi le pieghe della veste sacerdotale; nella mano destra regge il libro con il suo motto eucaristico (Oratio circularis continua); nella sinistra un cuore infiammato punta verso l'affresco della cupola dove, in un turbinio d'angeli, si apre la visione del Paradiso di Giovanni Lanfranco (1643). Intorno, sui pennacchi e le lunette, affreschi del Domenichino (1631-1641).
Ancora l'argento è protagonista nelle immagini dei reliquiari dell'Ospedale degli Incurabili sempre a Napoli, in Santa Maria del Popolo: metafisiche braccia e mani alzate che "gridano" con le dita benedicenti, trasformate dal taglio fotografico e dalla luce in modernissime "installazioni" d'arte contemporanea. Qui, nell'oratorio della Compagnia dei Bianchi, Francesco Caracciolo, dopo la conversione, veniva a servire gli incurabili del suo tempo, ammalati di peste o di mal francese (la sifilide). Intorno alle pareti e sui banchi scolpiti una lunga teoria di ovali (tele e affreschi) con ritratti a mezzo busto dei santi e dei beati che si succedettero al servizio del popolo napoletano: i Teatini, i Camilliani, i Bianchi, gli stessi Chierici regolari. Si può ben dire che gran parte della storia della santità italiana sia passata di qui, dall'Ospedale degli Incurabili: san Gaetano di Thiene (1480-1547), san Luigi Gonzaga (1568-1591), sant'Alfonso Maria Liguori (1696-1787); e , più recentemente, i beati Bartolo Longo (1841-1926) e Giuseppe Moscati (1880-1927).
San Francesco Caracciolo è un anello di questa ininterrotta catena di spiritualità che non separò mai il pane celeste da quello terreno, ma assimilò entrambi a Cristo, presente nell'Eucarestia. La carità è ricevere e dare lo stesso Pane, che ha il sapore dell'Amore. E l'Amore è uno. Possiamo immaginare il principe-mendicante Ascanio Caracciolo, prima di diventare sacerdote, girare per le strade di Napoli attento ai poveri; e poi entrare in queste chiese attento al vero povero, che è il suo cuore. E davanti al Grande Cuore, riconoscere che la vera statura dell'uomo è quella del mendicante.
Viaggiando a ritroso nel tempo ecco Villa Santa Maria (terra di longobardi, normanni, aragonesi, e poi feudo dei Caracciolo) dove il santo nacque il 13 ottobre del 1563; dal profilo del paese, dominato dalle rocce, svetta il campanile romanico di san Nicola, la chiesa parrocchiale dove Ascanio ricevette il battesimo; giù nella valle scorrono le acque del Sangro e quassù, tra le viuzze, si affaccia Palazzo Caracciolo. Roccia in alto, roccia in basso. Dalle rocce del monte sono ricavate le pietre delle case. Luigi Spina fa gridare le pietre dei muri ad ogni angolo. Tra le rocce della casa paterna il ventiduenne Ascanio Caracciolo - gravemente malato (forse di lebbra) e isolato in una cella per paura del contagio - mormorava le sue preghiere alle pietre. Perché le pietre gli concedessero il pane, cioè il senso della vita che il giovane cercava nel dolore della malattia. Nella sua grotta-cella le pietre consumate dal silenzio circondano la sua effige. L'obiettivo del fotografo mette a fuoco l'ombra dell'aureola che batte sul muro, inciso di invocazioni: "Facci grazia", "Prega per questo mondo che ne ha bisogno". Firme e date, graffiti che si perdono nel tempo, fermati nella luce abbagliante del muro come sulla superficie scabra di una tela astratta.
Dal suo forzato ritiro Ascanio uscì, come san Francesco d'Assisi, guarito nel corpo e nell'anima. Lasciò tutto e fondò l'ordine dei Chierici regolari minori, approvato da Sisto V nel 1588. La regola prevedeva oltre ai tre voti di povertà, castità e obbedienza l'impegno di non ambire a cariche ecclesiastiche e una dedizione tutta particolare al culto dell'Eucarestia, alimentata dalla "preghiera circolare continua".
Il nostro pellegrinaggio fotografico sui "luoghi " caraccioliani ci porta adesso a Roma dove il santo attendeva di essere ricevuto dal Papa per l'approvazione della regola. Dietro la Fontana di Trevi le facciate tripartite di Santa Maria in Trivio e dei santi Vincenzo e Anastasio, entrambe sedi dei Chierici regolari. E, in piazza Navona, la bella facciata mistilinea di Santa Maria in Agone del Borromini, svettante nei due campanili barocchi e nella cupola. Entriamo adesso nell'antica basilica di san Lorenzo in Lucina vicino a Montecitorio: sull'altare maggiore un crocifisso di Guido Reni; taglio stretto sull'ingresso del confessionale "n. 1" all'altezza esatta degli occhi: un invito a entrare; poi lo sguardo - liberato - si alza al prezioso soffitto a cassettoni e al pulpito, dove un angelo ci mostra la Colomba raggiata dello Spirito Santo.
Un battito d'ali e siamo fuori, in aperta campagna, ancora in viaggio verso l'Abruzzo, tra i campi di grano: dalla pietra alla terra si compie il miracolo del Pane; biondeggiano le spighe accarezzate dal Vento; e siamo ad Agnone, nel cuore del Sannio, paese dai 14 campanili (altro feudo Caracciolo) dove Francesco morì, all'età di 44 anni, il 4 giugno 1608, vigilia del Corpus Domini. Qui, nel paese dove si fabbricano le campane con lo stemma pontificio, è facile immaginare il loro battere ritmico per lui. Scorrono immagini dell'antica chiesa di san Francesco dove il santo pregò nei suoi ultimi giorni; e la Santissima Annunziata, ardente di lumi, dove le sue spoglie furono esposte.
Ad Agnone si conserva il cuore di san Francesco Caracciolo. Altre reliquie sono a Villa Santa Maria. Ma è nella chiesa napoletana di S. Maria Monteverginella che, in una statua, sono conservati i resti delle sue spoglie mortali. Da questo simulacro dettagli fotografici intensissimi di mani sofferenti, occhi e labbra dischiuse nell'offerta di sé a Dio che gli trapassava l'anima con la ferita bruciante di quell'Amore con cui Caracciolo sfamò i poveri; e il suo stesso cuore di principe che mendicava.