Luoghi dell'Infinito / Avvenire - novembre 2013
La speranza sul Golgota
Nel Novecento il tema del silenzio di Dio ha attratto filosofi, poeti e artisti che, di fronte alle tante tragedie di un secolo che avevamo liquidato come “secolo breve” (e che invece fatica a lasciare il passo alla “civiltà dell’Amore”) hanno espresso l’immagine di un Dio che sembra tacere e non rispondere al desiderio e all’ansia di liberazione dell’uomo. Sono di sconcertante attualità le parole di Pavese: “Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?” Rilke sottolinea da parte sua il silenzio che grava su noi moderni: “E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile” (Elegie duinesi). E Ungaretti si domanda: “Chiuso fra cose mortali / (Anche il cielo stellato finirà) / Perché bramo Dio?”. (Dannazione).
Il luogo per eccellenza del silenzio di Dio è il Golgota, prototipo di tutti i golgota della storia. Golgota, cioè luogo del cranio. Fuori dalle mura di Gerusalemme, sulla collinetta oggi inglobata nella chiesa del Santo Sepolcro e dove l’imperatrice Elena ritrovò i resti della Santa Croce di Cristo, là, secondo la tradizione si pensa sia stato sepolto anche il primo uomo, Adamo. Nel bassorilievo della Crocifissione di un anonimo scultore della bottega di Giovanni Pisano Gesù e Adamo si guardano. Adamo ha le orbite vuote. Gesù lo sguardo buono, indicibile e misericordioso. I due profili si specchiano l’uno nell’altro, ricuciono quel dialogo d’amore che si era interrotto nel giardino dell’Eden.
Ogni scena del Calvario che gli artisti hanno rappresentato ha il suo particolare suono e colore fatti di silenzio, un silenzio che parla, grida, sussurra. Nella icona-crocifissione di un anonimo pittore bizantino il petto di Gesù è una fonte viva di sangue che sgorga e fa rosse persino le stelle del cielo che piange con Maria e Giovanni. Con un salto di secoli, nella grande Crocifissione di Lorenzo Lotto il silenzio è rotto dal fruscio delle vesti delle donne raccolte intorno a Maria in primo piano. Dietro, ad anfiteatro, si dilata lo spazio dei soldati con le armi e i cavalli, mente la lancia e lo stendardo romano salgono a pungere e perforare il silenzio grigio plumbeo di un cielo dove sono confinati nell’aria tre uomini crocifissi. Nella tela di Lotto si sentono risuonare trombe barocche un po’ sfiatate e timbri d’organo, mugolii e scricchiolii, modulazioni e impennate improvvise che attraversano – tra preghiere e bestemmie – quel cielo grigio per raggiungere Gesù che tra i due condannati (che si agitano come foglie nel vento) è l’unico a saper guardare giù, verso il mondo, in silenzio e con infinito amore, come un capitano crocifisso all’albero della sua nave, un capitano che morendo si sacrifica per i suoi marinai.
Per contro il Golgota di Tintoretto è un trionfo di luce terrosa. Sartre aveva scritto di questa crocifissione: "Questo squarcio giallo del cielo sopra il Golgota il Tintoretto non l'ha scelto per significare l'angoscia, né tanto meno per provocarla: esso è angoscia e, a un tempo, cielo giallo”. La luce guizzante di Tintoretto assomiglia a schizzi di fango, argilla gialla che segna e attraversa tutti i colori come una nota di violino, vibrante sui corpi, gli incarnati, i panneggi, fino a farsi piena nella lampada del corpo di Cristo esposto su una croce bassa al centro del terrapieno del Golgota. Qui, in contemporaneità visiva, vengono descritti momenti diversi che testimoniano minuziosamente, utilizzando i corpi dei due ladroni, le varie fasi della crocifissione: come si lega a terra un uomo alla croce e come lo si innalza sul patibolo con funi,scale e cunei inseriti nel terreno.
Ma il suono più forte, lo squillo più limpido e potente che rompe il silenzio del Golgota è certamente quello del manto rosso di Maria Maddalena, raccolta come un grumo di sangue ai piedi di Gesù. Così la rappresenta Giovanni da Milano in una tavola esposta a Oxford. Quel rosso squillante rompe davvero il silenzio della non-speranza che sembra dominare il Calvario e i calvari della storia. Ed è un colore di donna. Lo stesso colore che si ritrova nel giardino, l’orto della Resurrezione del Noli me tangere della tavola del Beato Angelico dove Maria Maddalena vorrebbe toccare Gesù come quando al banchetto dei farisei gli ungeva i piedi e come quando li adorava sulla croce. E verrebbe da ripetere con Pavese: qualcuno aveva promesso qualcosa a questa donna?
Del silenzio di un’altra Maddalena della storia dell’arte, quella della Crocifissione di Mosè Bianchi, ha scritto l’arcivescovo Angelo Scola: “La Maddalena, un corpo chiuso su di sé, con le mani sugli occhi come una bambina spaventata, per non vedere lo strazio dell’Amato. Il cielo sopra di lei è ancora greve di tenebre. Abbandono, estrema desolazione. Nella Maddalena tutta la tragedia della fine. In Gesù crocifisso tutta la speranza certa dell’inizio” (Duomo, via Crucis, 20 marzo 2012).
Infine, se c’è un silenzio estremo nell’arte, un silenzio in bianco e nero, quel silenzio è quello della Pietà di Michelangelo artista, poeta e uomo di fede. La Pietà è tema, che l’ha occupato per tutta la vita. Dov’è qui la speranza? Dov’è la risposta al grido di noi contemporanei? Nel progetto di una Pietà poco nota, dedicata a Vittoria Colonna, Michelangelo ci dà la risposta. La risposta è nell’amore di una donna che ha raccolto quel grido: la Madonna. Nel disegno conservato a Boston la Madre di Gesù allarga le braccia nell’antico gesto dell’orante e prende posto ai piedi della croce mentre sil Figlio le giace abbandonato tra le sue ginocchia in una nuova, dolorosissima maternità spirituale. Le braccia di Maria rivolte al cielo sono esattamente speculari a quelle di Gesù che, sorrette da due angeli, piegate all’altezza del gomito, pendono con gli avambracci ad angolo retto verso terra. Maria, donna del silenzio e del sì, per il suo essere partecipe alla croce, è la nuova speranza dell’umanità come scrive Michelangelo sulla verticale della croce: “Non si pensa quanto sangue costa”. (citazione da Dante che prosegue poi: “Seminarla nel mondo. E quanto piace / chi umilmente con essa s’accosta ” Paradiso XXIX, 91-92).