09 aprile 2023 - S. Pasqua

La vittoria di Cristo, scendere agli inferi per ricreare il mondo

Pasqua

Discesa agli inferi (XV sec.)

Nella fede ortodossa la Discesa agli Inferi di Cristo è ciò che avviene nel “silenzio” del sabato che anticipa la resurrezione. L’icona della scuola di Novgorod

L’icona, parola greca che significa immagine, è il manifesto stesso del mondo e della religiosità ortodossa. In questa Pasqua 2023 vogliamo guardare all’icona della resurrezione per penetrare il suo significato. E per conoscere il mondo religioso ortodosso, ci trasferiamo per un momento, con l’immaginazione, in un qualsiasi paese o città dell’Est europeo, della Russia, dei Balcani o della Grecia.

È la notte di Pasqua, e i fedeli vegliano fuori dalla chiesa insieme con il sacerdote. Dopo la processione, si accalcano davanti alle porte chiuse dell’edificio sacro e incominciano a battere con forza su di esse con catene, lucchetti e altri oggetti di metallo, facendo un gran rumore di ferraglia. Finalmente, dopo una certa resistenza, il sacrestano apre le porte e il popolo irrompe, passando dal buio della notte a quella luce, fisica ma anche spirituale, che rappresenta il passaggio dalla morte alla vita.

Ed ecco che la prima cosa che i fedeli vedono, entrando nella chiesa, è proprio l’icona della resurrezione, esposta sul leggio, al centro della navata. Subito si inginocchiano, e davanti all’immagine sacra fanno il triplice segno della croce, tipico della fede ortodossa. Per il popolo è tutto: l’icona rappresenta la loro fede!

Osserviamo anche noi l’icona della Discesa agli Inferi, così diversa dall’immagine che ci aspettiamo e a cui ci ha abituato l’arte occidentale. In forme e colori impressi nel legno, nella Discesa agli inferi Cristo – come un “forte inebriato” – scardina le porte dell’Ade e le calpesta sotto i piedi. Vestito di bianco, il Risorto sembra che danzi sopra la morte rappresentata da quelle porte, a forma di croce, che ora brillano della Sua luce.

Nel buio del baratro infernale cadono lucchetti, chiavistelli, chiodi e ogni tipo di ferraglia che il pittore dell’icona illumina con un colpo di luce bianca, mostrando la vittoria di Cristo su quei simboli di morte e schiavitù. Questi oggetti rappresentano infatti le infermità e debolezze, le schiavitù fisiche e morali da cui, nella notte di Pasqua, i fedeli si sono liberati prima di entrare nella luce. Ecco spiegato quel suggestivo rito che avviene fuori dalla chiesa: quel battere di colpi alla porta è un grido di liberazione da ogni legame di morte.

Questa è la Pasqua, un’esplosione di gioia e di libertà. Nella notte santa molti usano festeggiare anche “laicamente” l’evento sacro, banchettando fino all’alba, tra canti e balli, e ripetendosi l’un l’altro il motivo di tanta allegrezza: “Cristo è risorto!”, cui si risponde “È veramente risorto!”. È questo l’augurio ortodosso che risuona in greco o in russo, e che si distingue dal nostro semplice “Buona Pasqua”.

In questa icona del XV secolo, che appartiene all’antica scuola pittorica della città russa di Novgorod, Cristo si trova al centro geometrico della composizione, all’incrocio delle due diagonali. La sua figura, alta e vigorosa, è avvolta in una veste bianca che svolazza. Egli impugna l’arma della sua vittoria: un’esile croce bizantina a tre braccia, simbolo della fede ortodossa: il braccio superiore è l’iscrizione INRI, quello centrale sorregge il corpo, l’inferiore è appoggio per i piedi. Su quell’asse di supplizio, come canta l’inno pasquale, “morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello”, e l’Autore della vita ha vinto con l’arma della debolezza: la croce, che nell’icona diventa un vessillo, un segno di trionfo.

Ma c’è di più da scoprire in questa icona. Se il Vangelo ci racconta che, al momento della resurrezione di Cristo, ci fu un grande terremoto, l’icona della Discesa agli inferi “registra” con precisione questo fatto, come fosse un sismografo. La terra trema, si apre una voragine, i monti si impennano come onde di un mare in tempesta, i morti escono dai loro sepolcri e tutto si riempie di luce. Il primo a uscire fuori dal buio della morte è Adamo. Cristo lo afferra per la mano come nel giorno in cui lo ha creato, e con lo stesso amore lo ri-crea, lo ri-plasma secondo la sua primitiva immagine. Adamo, che ha provato la nudità del peccato, ora è rivestito da una splendida tunica verde, il colore dello Spirito che lo ha reso nuova creatura.

È una storia incredibile d’amore, quella che si sviluppa nell’icona tra Dio e l’uomo, una storia inimmaginabile, impossibile da inventare. Una storia che nessun libro può narrare con l’evidenza dell’immagine. Ora è la volta di Eva, che si risveglia dal sonno e allunga verso Cristo quelle mani che un tempo, nel giardino dell’Eden, avevano colto il frutto proibito, e che ora si offrono, velate, in segno di umiltà e adorazione. Dalla disobbedienza all’obbedienza. Eva, madre di tutti i viventi, vestita di rosso come l’amore, conduce l’umanità fuori dalle acque insidiose del peccato. È davvero Pasqua. “Felix culpa”. “Felice colpa che ha avuto un così grande redentore!”.

In Adamo ed Eva si riaprono all’umanità le porte del Paradiso. Dietro di loro escono dai sepolcri i giusti dell’Antico Testamento, tra cui il re Davide e il re Salomone, seguiti da Mosè il grande liberatore e suo fratello Aronne, il sommo sacerdote. A destra invece si raduna il gruppo degli apostoli, guidati da san Pietro e san Paolo, le colonne della Chiesa. Tutti convergono al centro della composizione, dove intorno a Cristo, raggiante di luce, alle sue spalle si apre la splendida visione del Paradiso, a cerchi concentrici di colore verde smeraldo.

Ma la chiave per aprire le porte del Paradiso è solo la croce, “mirabile chiavistello”, strumento di supplizio divenuto in Cristo scettro regale, simbolo di vittoria. Nell’icona la croce bizantina a tre braccia, sottile ed elegante, misura lo spazio e diventa l’asse, il metro della composizione. Alla misura della croce si adeguano tutti gli elementi pittorici, le profondità della terra e la sommità dei monti. Tutta la creazione si anima e rallegra, i monti “battono le mani” e “saltellano come arieti”, secondo la bella espressione dei salmi. Sono immagini prese dalla Bibbia e trasformate in pittura.

Nell’icona, infatti, trionfa tutta la forza della poesia biblica e dei poeti cristiani dei primi secoli. A questa letteratura si ispiravano i monaci-pittori che, nel silenzio delle loro celle, dopo quaranta giorni di digiuni e preghiere, si apprestavano a dipingere le sacre icone. Sembra un mondo lontano questo, ma oggi, in Italia, sono tanti i laici che dipingono splendide icone, un’arte che cresce e si è diffusa in tutto l’Occidente. Non sarà difficile, dunque, in questa Pasqua 2023, trovare in una nostra chiesa cattolica, esposta sull’altare, una bella icona della Discesa agli inferi simile, se non uguale, a quella che abbiamo descritto fin qui. L’icona è un’arte sacra, ripetitiva, un vangelo per immagini che ci fa respirare con il nostro secondo polmone: l’Oriente cristiano.

Il Sussidiario