L'Osservatore Romano - 22 gennaio 2012
QUEI TRE VOLTI NASCOSTI E INSIEME RIVELATI
Una teologia per immagini si sviluppa davanti ai nostri occhi contemplando il mosaico che padre Marko Ivan Rupnik ha realizzato con gli artisti del centro Aletti per la cappella della Casa di formazione della Fraternità sacerdotale san Carlo Borromeo di via Boccea 761 a Roma. Le mille pietruzze che lo compongono si trasfigurano e diventano luce abbagliante che ci porta nel cuore del mistero.
La verità teologica della luce, contenuta nel Prologo del vangelo di Giovanni, brilla qui con particolare intensità, contribuendo a rendere questo luogo, dove si celebra ogni giorno la santa Messa, uno spazio sacro dove i seminaristi e i sacerdoti sono aiutati, attraverso lo sguardo, a stare in silenzio davanti a Dio, fonte della loro chiamata.
Il racconto per immagini, ideato da Rupnik sulla parte di fondo dell'altare, si sviluppa orizzontalmente in tre episodi da sinistra verso destra, saldati in una sorprendente unità teologico-visiva: l'incontro tra Abramo e gli angeli-pellegrini (Genesi, 18); l'annuncio dell'angelo Gabriele a Maria (Luca 1,26-38); infine l'incontro al Giordano di Giovanni e Andrea con il Messia (Giovanni 1, 35-40). Tra i due discepoli e Gesù, indicato dal Precursore come l'Agnello di Dio, viene inserito, in un taglio verticale di luce, il posto per il tabernacolo, sormontato da una tegola su cui è dipinta la formella del campanile di Giotto con la barca di Pietro: gli Apostoli ai remi e Gesù al timone a sottolineare che la Missione scaturisce dalla viva presenza eucaristica. Alla base del tabernacolo, come dal biblico roveto ardente, salgono le fiamme dell'Amore che scaturisce dal cuore di Dio e, al di sopra di esso, il mosaico riprende il tema delle fiamme, questa volta però di colore blu a rappresentare l'umanità, vertice e coronamento dell'azione creatrice di Dio.
I colori rosso e blu, che rappresentano rispettivamente il divino e l'umano, sono ripresi a sinistra nelle vesti degli angeli pellegrini: il rosso per la veste del Padre, che accoglie l'offerta di Abramo sotto le sue ali (l'uomo crede di accogliere Dio ma in realtà è accolto); il blu per la veste del Figlio, adombrato dalla figura dell'angelo al centro che guarda verso di noi; il bianco e l'oro per l'angelo di destra che rappresenta la terza persona della Trinità, lo Spirito Santo che si volge a Maria. I volti dei tre angeli sono visibili solo in parte, nascosti dalle loro stesse ali: Dio è inconoscibile, nessuno può vedere il Suo Volto e rimanere in vita (Esodo, 33,20).
Eppure nei tre pellegrini apparsi ad Abramo i Padri della Chiesa hanno voluto vedere il rivelarsi della Trinità. Così, se nel XV secolo il pittore di icone Andrej Rublev, fedele alla grande tradizione iconografica bizantino-slava, nel suo capolavoro, l'icona della Trinità ha dato ai tre pellegrini i volti scoperti del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; e se, per contro, un pittore ebreo del primo ‘900 come Marc Chagall, fedele alla tradizione del suo popolo, ha rappresentati gli stessi tre angeli di spalle, così un artista contemporaneo come Rupnik, di origine slovena, ha genialmente unito le due interpretazioni.
Il pensiero antinomico è caratteristico della mentalità e della filosofia slavo-ortodossa e Rupnik, con felice intuizione, attraverso il gioco mobile e flessuoso delle sei ali, ha nascosto e insieme rivelato i tre Volti, creando una sequenza suggestiva di sguardi. Il volto dell'angelo di sinistra che rappresenta il Padre è pressoché invisibile, quello del Figlio è visibile solo a metà, il volto dello Spirito sulla destra è l'unico interamente visibile e guarda a Maria, sovrastata dalle mani dell'angelo Gabriele.
I "tre" rappresentano anche Dio che vede nel passato (Abramo), nel presente ("Filippo chi vede me vede il Padre") e nel futuro: lo Spirito che attraverso Maria si rivela ogni giorno secondo la bella preghiera "Veni Sancte Spiritus, veni per Mariam". Il mistero dell'incarnazione, quel sì di quella giovane ragazza ebrea che avrà avuto sì e no sedici anni, è alla base della spiritualità della Fraternità missionaria fondata da monsignor Massimo Camisasca che fu allievo di monsignor Luigi Giussani al Berchet e che ha voluto inserire nel mosaico i protagonisti della nascita della fraternità: a sinistra don Giussani con alcuni suoi giovani, a destra il beato Giovanni Paolo II e san Carlo Borromeo.
In particolare don Giussani, che ha messo l'incarnazione al centro della propria proposta educativa- fondata sul "fare memoria" attraverso la preghiera dell'Angelus dell'avvenimento che ha cambiato la storia -indica a due giovani le parole scritte in un libro. Potrebbe trattarsi di un testo di uno dei suoi autori preferiti, Leopardi, Claudel o Peguy. Il volto di don Giussani è reso da Rupnik con tratti giovanili, pochi tratti essenziali secondo la tradizione delle icone che non vuole si faccia un ritratto realistico ma si sappia cogliere l'essenza spiritualizzata di un volto che riveli quella giovinezza eterna che è dono di Dio ai suoi santi.
La realtà più bella che sta dietro a quest'opera è una realtà di comunione: è questo il segreto che ha reso il mosaico della fraternità san Carlo, visitabile da chiunque passi in via Boccea, una autentica opera d'arte cristiana che parla all'uomo d'oggi, un'opera che è fissata nella contemporaneità, nata dall'incontro tra due carismi, quello di Giussani e quello del compianto cardinal Tomáš Špidlík, il sacerdote di origine ceca che insieme a padre Rupnik ha fondato il centro di studi e ricerche Ezio Aletti del Pontificio Istituto Orientale, una comunità viva di persone che guardano alla grande tradizione della chiesa d'Oriente e d'Occidente.