L'Osservatore Romano - 05 luglio 2012
MERAVIGLIE CON UN PO' DI CARTA
In mostra a Torino manufatti di arte devozionale realizzati tra il XVII e il XIX secolo. Fragili reliquiari, "papier roulés" e statuette uscivano dalle pazienti e abili mani delle suore.
La mostra torinese Meraviglie di carta: devozioni creative dai musei di clausura nasce da due collezioni private, quella di Gianni e Marella Agnelli e quella della fotografa americana Nan Goldin. Si tratta di 150 manufatti di arte devozionale di piccole dimensioni realizzati tra il XVII e il XIX secolo, oggetti fragili, raccolti con amorevole cura e salvati dall'incuria del tempo. I francesi li chiamano paperoles o papier roulés, cioè carte arrotolate, pieghettate e incollate. Queste decorazione fanno da cornici a veri e propri assemblaggi di materiali di recupero, i più disparati, a formare teche, reliquiari o vere e proprie immagini religiose. Tra esse emergono particolari iconografie come quella del Divino Infante, l'Agnus Dei, il Sacro Cuore di Gesù o il Volto Santo. Immagini che diventano oggetti di culto; ma anche ricostruzioni in miniatura, modello presepe, di episodi evangelici come l'Annunciazione o la Crocifissione.
Al di là dello stupore e della meraviglia che suscitano nel collezionista, questi oggetti di devozione testimoniano una sensibilità che riflette la spiritualità dei nuovi ordini religiosi nati dopo il Concilio di Trento. In un'epoca dominata dalla Riforma protestante e dalla Controriforma cattolica, attraverso un rinnovato culto delle reliquie e delle immagini dei santi si intendeva rinforzare il legame delle chiese locali con Roma. Così le comunità religiose femminili, soprattutto quelle d'oltralpe più a contatto con il protestantismo, realizzarono questi manufatti in linea con le indicazione dell'ultima sessione del Concilio tridentino del 3 dicembre 1563 che così stabiliva: "Il corpo dei martiri e dei santi che vivono con Cristo sono le membra viventi di Cristo e il tempio dello Spirito Santo, essi sono stati da lui resuscitati e glorificati alla vita eterna. Devono essere venerati dai fedeli, poiché attraverso di loro Dio concede numerosi benefici agli uomini".
Questi fragili reliquiari di carta, che oggi potremmo immaginare in qualche book shop di oggettistica religiosa, uscivano insieme a pizzi e ricami dalle pazienti ed abili mani delle suore. Dai monasteri femminili riformati di Svevia, Boemia e Baviera questa "moda" si estese alle comunità religiose di Trentino, Piemonte, Francia orientale e Provenza che ne divennero altrettanti centri di produzione. Tra le paperoles esposte alla Pinacoteca Agnelli di Torino fino al 5 settembre troviamo un reliquario tedesco nel XVIII secolo che contiene un frammento della lingua del santo patrono della Boemia, san Giovanni Nepomuceno (1349-1393), incastonato in una squisita decorazione fatta di schiuma, tessuto, vetro o pietra d'agata, smalto, carta, filigrana d'argento e racchiusa in una cornice di metallo e vetro.
Il culto delle reliquie, ritornato al suo primitivo significato di fede nella resurrezione, è esaltato in queste teche, che formano veri e propri altarini portatili in cui i frammenti sono divisi in fiale con cartigli che riportano il nome del santo. Si usa addirittura uno stucco speciale chiamato "pasta di tutti i santi", miscuglio di cartone ossa e terra di cimitero, per modellare figurine, statuette e medaglie.
Sull'esempio di santa Teresa d'Avila, grande mistica e riformatrice dei carmelitani, la tensione al rinnovamento interiore passò attraverso l'invito all'ascesi e all'annullamento di sé. Nei monasteri si proponeva di vivere un'infanzia spirituale che trovò la sua sintesi visiva nel culto dell'immagine del Divino infante. La statuetta in cera del Bambino Gesù deposto nella culla sotto l'albero del Paradiso o circondato dai segni della Passione soddisfano il desiderio di maternità spirituale delle monache, che vedono in quel Bambino il Figlio e lo Sposo cui la loro anima infiammata anela. Così del culto del Sacro Cuore, a partire dall'esperienza mistica di santa Margherita Maria Alacoque (1673) del monastero delle visitandine di Paray le Monial in Francia.
Dietro a queste meraviglie di carta si nasconde un mondo fatto di preghiera e paziente lavoro claustrale. Vi sono coinvolti antiche ordini riformati e nuovi: carmelitane, agostiniane, orsoline, visitandine, annunziatine, sacramentine. Alcuni manufatti esposti riproducono in prospettiva tridimensionale proprio l'interno delle celle monastiche, ambienti per eccellenza di conversione e che assomigliano a "case di bambole", arredate di tutto punto e dove la religiosa è rappresentata da una bambolina di stoffa o di cera intenta al ricamo o all'attività manuale preferita. Nella riproduzione di una cella di monaca cappuccina francese è inserita la medaglia miracolosa di Rue de Lubac, a Parigi, dove la Madonna apparve nel 1830 ad una novizia delle Figlie della Carità, santa Caterina Labouré.
Infine tra gli oggetti esposti a Torino troviamo una teca con due giovani sposi inginocchiati davanti a un Calvario fiorito di vetri colorati, pizzi, fiori secchi e conchiglie. In modo delicato e fragile questi piccoli oggetti sottovetro raccontano, in un bisbiglio, sentimenti e valori intimi ma autentici, a dimensione del cuore.