Vita Pastorale n°10 - novembre 2013
L’uomo della Croce
Un volume eccezionale con oltre 300 opere presentate dal punto di vista iconografico e teologico, lascia parlare l’arte e la spiritualità, mostrando come la croce abbia plasmato non solo la fede cristiana ma l’intera cultura occidentale.
L’immagine dell’Uomo della Croce e del Crocifisso nell’arte come soggetto isolato o inserito all’interno di altre scene – dalla salita al calvario al grande scenario collettivo della crocifissione fino alla triste, dolente e intimissima deposizione e alle immagini devozionali che da essa sono derivate (Cristo paziente, Imago pietatis, etc.) – si è moltiplicata e diffusa in oltre duemila anni di cristianesimo in una serie di opere impressionante per quantità e qualità. La scelta che è stata fatta pubblicando i circa 400 soggetti presenti nel grande volume d’arte e spiritualità L’Uomo della Croce (san Paolo) rappresenta per noi osservatori d’oggi, nel confronto tra i diversi tipi iconografici, una sensibilissima cartina al tornasole che ci rivela gli sviluppi della fede, della cultura e della devozione cristiana. Non solo, ma anche il continuo rapportarsi dell’immagine del crocifisso con la mentalità e la cultura del tempo, dal medioevo assetato di Dio al rinascimento innamorato dell’uomo, dal cinquecento epoca di passaggio agli splendori dell’arte barocca, fino alla grande crisi dell’uomo moderno, allo spaesamento del contemporaneo.
Ogni epoca, si può dire, ha avuto la sua rappresentazione dell’Uomo della Croce e ha sottolineato aspetti diversi dell’avvenimento centrale della storia della salvezza. Identificare questi momenti in un percorso coerente, questa è stata la sfida di quest’opera che documenta, attraverso un ricchissimo apparato iconografico, commentato e arricchito da un’antologia di testi di grandi autori, un percorso artistico e spirituale davvero unico. Il tema iconografico dell’Uomo della Croce viene affrontato in un serrato confronto iconografico tra tipologie diverse, individuando quelle che si ripetono ed evidenziando temi nuovi; in ciò coinvolgendo gli strumenti della storia dell’arte (schede aggiornate con dati, misure, materiali, attribuzioni e luoghi dove i reperti sono attualmente esposti); ma anche utilizzando come strumento di lettura dell’opera d‘arte la poesia, la liturgica, la teologia, la patristica e la letteratura del tempo, religiosa e profana.
Attraverso lo studio delle varie rappresentazioni del’Uomo della Croce emerge la storia della Chiesa, dei suoi riti e dei suoi protagonisti – i santi – uomini e donne che hanno guardato al crocifisso come al centro della loro vita. Dall’umile Francesco d’Assisi al coltissimo Tommaso d’Aquino che davanti all’Uomo della Croce riconoscerà che tutta la sua opera è stata “solo paglia”. Il ricchissimo apparato di citazioni che accompagnano ogni singola opera è preso dal Vangelo, dalle lettere di Paolo, dagli scritti di Agostino, Ambrogio, Bernardo di Chiaravalle, Caterina da Siena, Jacopone da Todi, Ignazio di Loyola; ma anche Lorenzo il Magnifico, Goethe, Eliot, Ungaretti, Claudel , Borges. Tra gli intellettuali cattolici e le grandi personalità della Chiesa troviamo citazioni da Mounier, Carlo Maria Martini, Luigi Giussani, Karol Woityla, Joseph Ratzinger, Angelo Scola.
Fin dalle prime rappresentazioni Cristo appare vivo in croce, gli occhi aperti come chi domina la morte. Il modo con cui gli artisti hanno realizzato l’ immagine del crocifisso nei secoli interpreta l’andamento dei dibattiti teologici su Cristo e sulla sua natura di uomo e Dio. Da un lato Cristo, come vero uomo , soffre e muore sulla croce; dall’altro, come vero Dio, regna da quello “strano” trono. Nel primo millennio prevale l’immagine di Cristo trionfante e vittorioso, gli occhi aperti, lo sguardo sereno, il corpo rilassato e composto; dopo l’anno Mille si diffonde maggiormente l’immagine del Suo corpo straziato e sanguinate, il volto reclino, gli occhi chiusi in una maschera di dolore. I due filoni iconografici – Christus triumphans e Christus patiens – solo apparentemente in contrasto tra loro, spesso convivono e raggiungono nell’arte sintesi di rara bellezza. È questo il segreto fascino del crocifisso che attrae credenti e non credenti: canto di morte e inno di vita.
Inoltre, nell’universalità del suo simbolismo, il segno della croce indica una continuità tra mondo pagano e cristiano e viene incontro alla nostra sensibilità moderna assetata da tutto ciò che è naturale e insieme spirituale. Il segno della croce, come hanno fatto notare i Padri della Chiesa, si trova nascosto in tante forme della realtà. Secondo san Giustino una rondine ad ali aperte, l’albero di una nave, l’aratro che solca la terra o l’ancora della nave sono altrettante immagini che evocano la croce. E conclude: “Niente nel mondo può esistere, né formare un tutto senza questo segno”. Del resto già nell’Antico Testamento l’immagine della croce è nascosta sotto vari simboli che prefigurano il Crocifisso: l’Arca di Noè, la verga di Aronne, il serpente di bronzo innalzato nel deserto, il bastone di Mosè e che fa scaturire l’acqua dalla roccia e che rende dolci le acque di Meriba, la scala di Giacobbe che sale verso il cielo.
Di tutte queste immagini è dato conto all’interno del volume la cui parte finale è dedicata ai simboli che la patristica e l’innologia cristiana (da Venanzio Fortunato a Bonaventura da Bagnoregio) attribuiscono alla croce: il simbolismo del torchio mistico, dell’albero, della vita, della croce come bilancia di giustizia. Un capitolo a parte è dedicato alla descrizione del ritrovamento dalla Vera Croce negli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo o al rito del Santo Chiodo e della Nivola nel Duomo di Milano. Con escursioni all’estero come alla figura storica del Miguel Manara (reso poesia nel Miguel Manara di Milosz) e al suo Ospedale della carità di Siviglia dove il legno della croce vola sorretto dagli angeli nel trompe l’oeil della sacrestia. Completano l’opera alcune rare immagini: Cristo sale da solo sulla croce (monastero benedettine sant’Antonio Polesine, Ferrara), san Pietro raccoglie la mistica vendemmia (Teramo s. Maria delle Grazie). Infine il Noè ebbro scolpito sulla facciata del palazzo Ducale di Venezia simboleggia non un momento di debolezza del patriarca ma prefigura Gesù inebriato dal frutto della sua stessa vigna che è la Chiesa.