14 ottobre 2020
Quel sudario che ci pende sul volto
C’è qualcosa di inquietante nella visione di un’umanità condannata a portare una benda sul volto. Un mistero che va ben al di là della necessità pratica, dell’indubbia utilità di proteggerci dal virus. C’è qualcosa in tutto ciò che ci interroga, come un messaggio nascosto, da decifrare. E un invito a non lasciare prendere da questa anormalità fino a farla diventare quotidiana. Quel segno sui nostri volti richiama un’immagine inquietante, è come una fascia, una garza, una benda mortuaria. Le bende che si usano per i feriti, magari dopo un incidente. Siamo tutti malati. Siamo tutti segnati sul volto come i lebbrosi al tempo di Gesù. Ma cosa rappresenta davvero quella benda che ci nasconde reciprocamente gli uni agli altri?
La nostra identità è negata. Siamo tutti cancellati. Irriconoscibili. Imbavagliati.
Ogni uomo è un potenziale un nemico e anche noi potremmo esserlo per lui. La gente per strada incomincia a non salutarsi più. Sembra che il demonio abbia seminato tanta zizzania nel campo del suo nemico: Dio. I danni cominciano a vedersi. Danni economici ma anche umani e spirituali. Il virus sconosciuto che ha messo duramente alla prova i nostri limiti, forse potrebbe però farci scoprire, tra i tanti volti resi anonimi, il Volto dimenticato di Gesù. Quelle bende non ricordano forse le Sue bende mortuarie e il Suo sudario, l’effige del suo Santo Volto impresso sul lenzuolo della Sindone? Quegli scampoli di tessuto che ci portiamo addosso da mesi, orai frusti e pendenti sulla faccia, con le impronte delle nostre giornate, non potrebbero essere altrettante tracce della Sue giornate, così come ce le raccontano i Vangeli? Milioni di mascherine. Milione di maschere umane intrise di sudore, fatte a sua immagine, sudore di sangue che ha intriso il volto di Gesù nella Passione. Sudore e sangue per salvare il mondo.
Ecco, forse quei milioni di mascherine che fasciano i volti dell’umanità intera, oggi afflitta dalla pandemia cinese, potrebbero essere i segni del peccato e della grazia. “Là dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia” scrive san Paolo. E san Giovanni evangelista nel suo Apocalisse li conta ad uno ad uno quei volti di “segnati”: “Centoquaranta quattromila segnati di tutte le tribù dei figli d’Israele. Della tribù di Giuda dodicimila segnati, della tribù di Ruben dodicimila, … della tribù di Zabulon dodicimila, della tribù di Giuseppe dodicimila, della tribù di Beniamino dodicimila segnati”.
Potremmo continuare: “Sessantotto milioni di segnati della tribù di Francia. Quarantasei milioni della tribù di Spagna. Sessanta milioni della tribù d’Italia”. Uomini segnati sul volto da quel marchio indelebile di morte e resurrezione. Come il segno lasciato dall’Angelo sugli stipiti delle porte degli ebrei nelle piaghe d’Egitto. Volti che sono lo specchio dell’io, di ciascun io, irripetibile perché creato uno ad uno dal Padre. Attraverso quei volti possiamo così riconoscerci fratelli e non nemici.
Allora da oggi salutiamoci di più per la strada. Con più cuore. Abbassiamo la mascherina quel tanto necessario per riconoscere il nostro bisogno di guardarci in faccia l’un l’altro. L’amore vince il virus. Nessun uomo è un’isola. Siamo tutti naufraghi e salvati. E quando entriamo in chiesa, prima di disinfettarci le mani con il gel, facciamo un genuflessione per riconoscerlo, questo Dio che ci salva, e cerchiamo con la mente, là in fondo, sull’altare, il volto di Gesù nascosto nel tabernacolo. Non lasciamolo imbavagliato nel sepolcro dei nostri cuori. Lasciamo che gridi anche a noi come a Lazzaro: “Vieni fuori!”. E il morto (che siamo noi) uscirà con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario.
E se questa fosse la risposta che cercavamo? Se quella mascherina, quella pezzuola sul volto fosse una reliquia, un pezzetto di stoffa rubato alla Sindone e distribuito a tutto il mondo, prolungamento di quel Corpo e di quel Volto? Se così fosse tutto ciò che sta accadendo avrebbe un senso. E noi come Lazzaro sentiremmo Gesù che ordina: “Slegatelo e lasciatelo andare”.