Blog - 06 marzo 2023
Kiev, cattedrale di Santa Sofia
Guerra e pace: l’eterna inevitabile lotta
Come è scritto nel libro del Quelet: “C’è un tempo per la guerra e un tempo per la pace”. A un anno dall’invasione russa dell’Ucraina tutti preghiamo per la pace, invochiamo la pace, cerchiamo la pace. Tutti siamo fatti per la pace, per la vita, soprattutto i due popoli coinvolti in questo conflitto che paga alla guerra l’alto tributo di migliaia di vite umane, da una parte e dall’altra. Eppure la guerra esiste, come una inevitabile malattia, come un cancro che ci precipita addosso e contro cui dobbiamo lottare. “Militia est vita hominis super terram” diceva il libro di Giobbe e lo ripetevano i latini.
La vita è lotta, la vita è dolore. Tutti vorremo la pace, una vita tranquilla come quella degli hobbit nella contea, fumando l’erba pipa e coltivando le rose. Ma, come dicevano i nostri vecchi: “La vita non è tutta rosa e fiori”. Dobbiamo accettare il male come il bene, niente dipende da noi, neppure la guerra. C’è un tempo per la guerra e bisogna affrontarlo – il “fronte”, appunto – con gli strumenti della ragione, della pace, del dialogo. Ma anche delle armi, che sono come il bisturi del chirurgo. È inevitabile: bisogna combattere contro chi invade. Ma forse, dopo un anno, è ancora tempo di guerra in Ucraina? Quella terra – granaio d’Europa – non è ancora sazia di sangue?
Un tempo nelle assolate strade di una Palestina occupata dai romani, Gesù raccontava ai suoi discepoli la parabola di quel re che, trovandosi ad affrontare con diecimila uomini chi gli veniva incontro con ventimila, andò di notte a trattare la resa per non sacrificare i suoi uomini. Lui parlava del male e dell’anima. Un esempio di estrema saggezza. Trasferibile in Ucraina? Forse no. Un Paese sovrano, invaso dai carri armati, non può che difendersi, come Davide contro Golia.
Più che i tavoli della pace (Svizzera, Stati Uniti, Turchia Cina, India) ci vorrebbe un uomo di Dio, un uomo che non abbia nient’altro dietro di sé che Dio soltanto. Perché il tempo della guerra finisca ci vorrebbe un uomo ispirato da Dio. La guerra non può continuare. Così si rivolgeva a Nostra Signora di Francia il tenente Charles Peguy, un anno prima di morire sul fronte della Marna, durante la prima guerra mondiale: “Abbiamo perso il gusto per le armi / Regina dei trattati e dei disarmi”.
La guerra è un’antica festa crudele, come ci ricorda il titolo di un libro di Franco Cardini. Un mese fa si è festeggiata a Kiev – tra un coprifuoco e l’altro – una parziale vittoria. La città è libera ma ci si può aspettare il peggio, la zampata dell’orso, una pioggia di missili. I russi preparano la grande offensiva di primavera. Gli esperti del Pentagono parlano di almeno un alto anno di inferno. Ci vorrebbe un uomo, ora, adesso, un ambasciatore di pace. Ogni arma, ogni missile, ogni carro armato, ogni aereo da combattimento che l’Occidente invia all’Ucraina dovrebbe essere accompagnato da altrettante azioni di pace. Lo dicono tutti. Ma trovare le armi della pace è difficile. Guerra e pace ancora si fronteggiano sui fronti e nei cuori. Fino a quando?