Giorgio Morandi, Paesaggio del Poggio 1927 (acquaforte su rame) - Istituzione Bologna Musei - Museo Morandi

Ogni due novembre mi ritorna alla mente, dalla raccolta “Myricae”, l’intensa poesia di Giovanni Pascoli intitolata “La notte dei morti”. “Myricae” appunto, “piccole cose”. Il fiume, il camino, il ceppo, il paiolo e la fiasca del vino che, nella Toscana di Pascoli, era certamente panciuta e avvolta nella paglia. Siamo nel 1891 e in quella casa nei campi, dove è radunata una famiglia di contadini, al posto del televisore (che non esisteva) si prega il rosario come ogni sera. Ma quella sera, in particolare, il rosario è dedicato ai morti. E nel silenzio, là fuori, il fiume sembra portare ai presenti un’altra voce differente, quella dei morti, dei nonni o dei bisnonni che avevano anch’essi pregato un tempo davanti a quello stesso camino. Le voci dei morti e dei vivi si confondono nel mormorio del fiume, la voce argentina dei bambini (il “trillo dei figli dei figli”) e le parole sussurrate dei vecchi (“quei poveri vecchi bisbigli”). Due generazioni che non si sono mai conosciute si incontrano nel canto del fiume. Dove va il fiume andiamo tutti (“o fiume dall’inno infinito”). E il velo, che Pascoli vede passare sopra la luna, nasconde e rivela anche a noi, in questa notte, qualche cosa di grande. Sciami di angeli. E i nostri defunti che passano.

La notte dei morti

I

La casa è serrata; ma desta:
ne fuma alla luna il camino.
Non filano o torcono: è festa.

Scoppietta il castagno, il paiolo
borbotta. Sul desco c'è il vino,
cui spilla il capoccio da solo.

In tanto essi pregano al lume
del fuoco: via via la corteccia
schizza arida... Mormora il fiume

con rotto fragore di breccia...

II

È forse (io non odo: non sento
che il fiume passare, portare
quel murmure al mare) d'un lento

vegliardo la tremula voce
che intuona il rosario, e che pare
che venga da sotto una croce,

da sotto un gran peso; da lunge
Quei poveri vecchi bisbigli
sonora una romba raggiunge

col trillo dei figli de' figli.

III

Oh! i morti! Pregarono anch'essi,
la notte dei morti, per quelli
che tacciono sotto i cipressi.

Passarono... O cupo tinnito
di squille dagli ermi castelli!
o fiume dall'inno infinito!

Passarono... Sopra la luna
che tacita sembra che chiami,
io vedo passare un velo, una

breve ombra, ma bianca, di sciami.