Vincent Van Gogh, 1890, Il melo (Amsterdam - Vincent Van Gogh Museum)
Federico Garcia Lorca
Frutteto di marzo (1921)
Il mio melo
ha già ombra e uccelli.
Che balzo dà il mio sogno
dalla luna al vento!
Il mio melo
porge le braccia alla verzura.
Qui da marzo, come mi appare
la fronte bianca di gennaio!
Il mio melo...
(vento basso).
Il mio melo...
(cielo alto).
Federico Garcia Lorca, poeta andaluso, sceglie il melo come punto di osservazione della realtà, come un balcone da cui affacciarsi per partecipare al gioco delle stagioni, all’impeto di una natura che si risveglia con tonalità contrastanti: il primo verde che dà ombra agli uccelli, l’agitarsi del vento, la quiete della luna. Senza queste forze non ci sarebbe movimento né vita, come senza il vento non ci sarebbe quel “balzo” del sogno che lo porta a salire sulla scala del vento fino a raggiungere la luna.
L’insistere sul pronome possessivo “mio” riferito al melo fa sì che Lorca quasi si identifichi con l’albero che, stranamente, anziché produrre germogli “porge” i suoi rami alla verzura, come se le foglie fossero un dono che viene dall’esterno.
Nella terz’ultima strofa “Qui da marzo” Lorca sottolinea come la stagione sia un luogo fisico in cui il poeta abita e da cui guarda i monti dell’Andalusia, la loro fronte ancora bianca per le nevi che non si sono ancora sciolte. Contrasto dunque: “vento basso” e “cielo alto”, così alto come solo il vento sa renderlo spazzando via nubi e vapori. Una poesia immensa in poche righe.