Camille Pissarro, Il giardino dell'artista a Eragny
Giovanni Pascoli 1912
È maggio
A maggio non basta un fiore.
Ho visto una primula: è poco.
Vuoi nel prato le prataiole:
è poco: vuole nel bosco il croco.
È poco: vuole le viole; le bocche
di leone vuole e le stelline dell'odore.
Non basta il melo, il pesco, il pero.
Se manca uno, non c'è nessuno.
È quando è in fiore il muro nero
è quando è in fiore lo stagno bruno,
è quando fa le rose il pruno,
è maggio quando tutto è in fiore.
È tutto un corpo solo la natura nel mese di maggio e così Pascoli ce lo restituisce. Un corpo solo fatto di molte membra ma se manca all’appello un solo fiore tutto il corpo ne soffre e sospira. Manca il pruno? Manca il melo? Manca il croco. E “le stelline dell’odore” che mai saranno? Forse il sambuco, o il gelsomino con i loro profumi. Pascoli è leggero. Elenca, computa, sospira e ogni parola evoca un fiore, si nasconde dietro un fiore come fa il venticello leggero di primavera. Maggio è la stagione dell’amore e del “gonfalone selvaggio” che lo stesso Pascoli mutua, in un’altra sua poesia, dalla ballata quattrocentesca di Angelo Poliziano “Ben venga maggio” che descrive i riti di Calendimaggio e celebra gli amori della gioventù fiorentina. Pascoli invece si tiene da parte da questo maggio chiassoso e celebrativo. Maggio per lui è quando tutto è in fiore. E fiore fa rima con l’amore che circola come il sangue vivo in ogni elemento di questo variato erbario da lui appena suggerito, dove “se manca uno, non c’è nessuno”. Mistico corpo di un maggio così lieve, così felice. Dove anche il pruno produce rose, lo stagno bruno e il muro nero un luminoso fiore.