Mary Cassatt, Bambino che prende una mela

Giosuè Carducci
Pianto antico

L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,

nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora,
e giugno lo ristora
di luce e di calor.

Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l’inutil vita
estremo unico fior,

sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.

Attraversiamo le stagioni come in un sogno, al confine tra il fuori e il dentro di noi. Così possiamo sentirci tristi anche nella bella stagione, quando la natura è in pieno rigoglio. Carducci in “Pianto antico” ce lo insegna. Chi non conosce questa bella poesia imparata a memoria sui banchi di scuola? Quattro quartine rimate ABBC, ogni quartina composta da tre settenari e un senario che la chiude. Siamo di fronte a una precisione da spartito musicale. Tutto canta in questo giugno in cui la natura si ristora e l’albero di melograno mette fuori i suoi piccoli calici di fiori a stella, tre petali o quattro, come i versi di Carducci. Davanti a questa pianta splendida che viene dalla Persia – e che forse rappresenta proprio l’Albero della Vita che ci costò la perdita dell’amicizia con Dio – non possiamo che unirci al “pianto antico” di Carducci e di tutto il genere umano. Un pianto che viene dalle radici, da quella “terra negra” in cui fu sepolto suo figlio Dante, morto di tifo nel novembre del 1870.

Il tema è triste e contrasta col cielo di giugno. Pure, nel contrasto lessicale carducciano, i lemmi “luce e calore” lottano contro “freddo e nero”. È impossibile risvegliare un figlio morto. Giugno per il poeta ha il sapore di novembre, scende l’inverno nel cuore di un padre che è come se vedesse ancora vivo quel figlio di soli tre anni giocare tra le quinte degli alberi in fiore nel suo giardino di Bologna. Con la morte del figlio per Carducci tutto sembra finito e anche le stagioni cha verranno non serviranno a consolarlo. Eppure si sente nel poeta – in quell’attimo fermo davanti al melograno dai bei vermigli fiori, a quella chioma verde come gli anni verdi del figlio – una voce che lo chiama.

Nel verde del cespuglio il rosso fuoco, come nel roveto ardente di Mosè. In quella prima quartina c’è una possibile chiave di speranza per Carducci, un invito a contemplare una bellezza che pure – nonostante tutto – gli sta davanti. Non può negarla. È un attimo, quattro versi, un niente, poi tutto precipita nella tristezza dei versi successivi. Ma in quell’attimo Carducci sente il bello della vita, non può negare a sé stesso il bene di essere vivo. E di dare del tu a suo figlio, un tu insistente (“tu fior della mia pianta” / “tu dell’inutil vita”) come se il figlio lo ascoltasse. Se proviamo a metterci davanti ad un melograno, così rigoglioso in questo mese di giugno, forse potremo anche noi unirci a quel pianto, così antico, così vero.